Il resto di niente. 20 agosto 1799, Napoli. Eleonora de Fonseca Pimentel sente la ruvida corda cingerle il collo in Piazza Mercato. Indossa una tunica, le è stato negato di indossare delle vesti intime, volge lo sguardo a Castel Sant’Elmo, alla Prima democrazia italiana, al cuore che pochi hanno messo in gioco per il bene di molti e alla libertà di essere dai molti rinnegati.

«A signora ‘onna Lionora
che cantava ‘ncopp’ ‘o triato
mo abballa mmiez’ ‘o Mercato
Viva ‘o papa santo
ch’ha mannato ‘e cannuncine
pe’ caccià li giacubine
Viva ‘a forca ‘e Mastu Donato!
Sant’Antonio sia priato»
.

lo scherno del canto dei sanfedisti non la tange; io la vedo sorridere amabilmente mentre mi faccio spazio tra la folla per incrociare il suo sguardo, vincendo lo spazio e il tempo nel riflesso di una lacrima sorda solo per poterle sussurrare: grazie.

Viaggio nell’universo femminile

Eleonora, Madonna pagana, nel film Il resto di niente, è la nuova tappa del nostro viaggio, e nel suo furore senza tempo ristoriamo le nostre rinnegate penne di poeti.

Poesia di maggio, poesia che si fa Strega e ci consegna nella sua cinquina Silvia Bre con Le campane.

Resilienza del verso che si fa suono tra le pagine che la poetessa decide di sussurrarci, consegnandosi a noi delicata e mutevole nell’estrema sintesi del suo cammino lungo 36 anni.

Ci sceglie come suoi compagni e noi non possiamo che seguirla; il compasso della sua penna riscrive le radici della rivoluzione terrestre restituendoci alla pace dell’entropia del nostro Universo. Lasciamoci indifesi ai sensibili colpi inferti dalla poetessa nella sua ultima opera, ecco un breve estratto:

Quei numeri tatuati sul pianeta
aspri musi da faina dove l’iride turbina
e si schianta involontaria smarrita
la selvaggina umana: per la scala minore
su sfondo oro sbanda un meridiano
di rintronati dalla fragranza di un suono
la loro eleganza disadorna.
Non sono mai nessuno i poeti –
nel vuoto dell’amore, dai vuoti di memoria
pugnalano in lingue il lontano.
Poi l’aurora.

È un temerario dio a respirare oltre,
un alito che spalanca l’impalcatura
per averci come siamo? Un segno disumano lo canta
non oltre le cose ma in loro: identica indistinta
nel fosco vapore del suolo tu, meraviglia,
perché ti riconosco, sbandieri
che divampa su tutto, il ritmo antico del nulla.



 

Le tante espressioni
dell’essere donna e vita

Sentirci nei suoni del nostro corpo, riappropriarci delle nostre sensazioni conservando tra le nostre pulsazioni quegli aneliti di libertà della nostra rivoluzionaria Eleonora e perdendoci nel vuoto dell’amore della Bre.

Se devo cercare la voce delle campane allora non posso che farvi tuffare con me nelle sommesse immensità dell’oceano cantato da Gabriella Di Capua. La giovane artista campana lascia il tempo cristallizzarsi tra le note; le parole si fanno eteree.

Abbiamo allora mosso i nostri passi nelle orme di queste meravigliose artiste, diverse espressioni dell’essere donna e vita. Resta tra le nostre mani la sabbia che scorre nel tempo e un tumulto di sensazioni a cui non possiamo che muovere ogni nostra ambizione.

Siamo il suono di ogni atto di resistenza e fede che è essere uno scrittore, siamo il cammino di Silvia, gli occhi di Eleonora, la voce di Gabriella.

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