Può la visione di un film essere un’esperienza multisensoriale? Ontologicamente non v’è dubbio dato che il cinema rientra nel grande calderone degli audiovisivi, medium che per definizione coinvolge lo sguardo e l’udito, a meno che non ci si limiti solamente a vedere e sentire.
La settima arte fin dai suoi primi passi ha cercato di stimolare l’occhio dello spettatore attraverso imbibizioni, viraggi e coloriture a mano fino all’esperienza più recente dell’alta definizione, e l’orecchio con accompagnamenti dal vivo prima e colonne sonore di grandi Maestri poi. L’obiettivo era quello di fornire degli ausili alla comprensione ma anche di immergere completamente il pubblico in una dimensione di sollecitazione percettiva che contribuisse a mettere in atto quel processo di immedesimazione che caratterizza la settima arte.

Premessa fondamentale: l’esperienza di cui parlo fa riferimento alla sala cinematografica. Non che la visione domestica sia totalmente priva di questo coinvolgimento ma l’immersione nel buio di un cinema, le dimensioni dello schermo, l’impossibilità di fermare la proiezione e la riduzione al minimo delle distrazioni esterne, lo rendono un contesto ideale per una vera e propria esperienza.

Lo storico del cinema Gian Piero Brunetta nel suo “Buio in sala. Cent’anni di passioni dello spettatore cinematografico” (Marsilio editore, 1989) scrive:

“Ci sono stati anni – ha scritto Italo Calvino- in cui il cinema è stato per me il mondo”. Per intere generazioni – almeno fino agli anni sessanta – la sala cinematografica è stata il punto di massima socializzazione e concentrazione di energie emotive, il “luogo comune” che ha scandito tutte le tappe fondamentali dell’esistenza dell’uomo del Novecento, il territorio in cui si sono celebrati molti riti laici, dal battesimo sentimentale ed emotivo alla scoperta del lessico e della sintassi dei sentimenti, alla progressiva sensazione di apertura verso mondi lontani e alternativi a quelli circostanti.

Il cinema ha inevitabilmente tra i suoi obiettivi quello di favorire un coinvolgimento dei sensi ma è dagli anni cinquanta che, complice anche la concorrenza messa in campo dalla televisione, si inizia ad ingegnare dando vita ad una serie di trovate, spesso molto fantasiose. La lista degli esempi potrebbe essere molto lunga ma mi limiterò ad alcuni casi minori sperando di suscitare quel pò di curiosità che basta per portarvi ad avviare delle ricerche suggerendovi di non trascurare anche il periodo che precede il secondo dopoguerra perché rischiereste di perdervi un capolavoro come Napoleon di Abel Gance (1927) che si avvale del sistema Polyvision o di alcuni esperimenti stereoscopici già presenti alla fine del XIX secolo. Da quest’ultimi al 3D il passo è veramente breve, ma più che indagare alcune esperienze note come i vari formati panoramici o le pellicole 70 mm in cui la qualità delle immagini veniva migliorata di ben 6 volte rispetto alle proiezioni tradizionali in 35 mm, vorrei considerare alcune esperienze di stimolazione sensoriale piuttosto originali.

Penso ad esempio al Cinerama concorrente del Cinemiracle (ampiezza 120 gradi): un sistema di ripresa e di proiezione brevettato da Fred Waller nel 1946 in cui viene utilizzato una macchina speciale formata da tre obiettivi messi a 48 gradi di distanza l’uno dall’altro. La stessa scena, quindi, veniva ripresa come se fosse divisa in tre porzioni, ciascuna seguita da un obiettivo ottenendo così un’immagine molto ampia (144 gradi).

Talvolta non servivano costosi mezzi tecnici ma solamente tanta immaginazione, e questo è il caso di William Castle soprannominato The King of Gimmicks per la straordinaria inventiva nel promuovere i suoi film.
Il primo di questi trucchi, o gimmicks, arriva nel 1958 per l’uscita di Macabre (Macabro). Si inventa di sottoscrivere una polizza assicurativa con i Lloyd di Londra (per mille dollari) nell’eventualità che qualcuno del pubblico si fosse sentito male o morto di paura durante la proiezione e lo scrive sui manifesti per promuovere il film. Per rendere il tutto ancora più realistico ingaggia un’equipe medica con un’ambulanza presente nel cinema pronta ad intervenire ad ogni malore. L’anno successivo dirige House on Haunted Hill (La casa dei fantasmi, 1958), Questa volta realizza uno scheletro (un effetto speciale chiamato Emergo) che vola sulla testa degli spettatori in sala ogni volta che compare sulle scene. In occasione di The Tingler (Il mostro di sangue) sperimenta il Percepto: su alcune poltrone dei cinema sono posti degli elettrodi da attivare in alcune scene, dando la scossa al pubblico. Con 13 Ghosts (1960), una variante del genere sulle case infestate, introdusse Ilusion-o ovvero degli occhiali con due visori speciali, con i primi si vedevano i fantasmi, con gli altri no.
La carriera di Castle fu talmente originale che Joe Dante gli dedicò un film dal titolo Matinee.


L’eccentrico John Waters non fu da meno e nel 1981 recuperò per il suo Polyester lo Smell-O-Vision (chiamato anche Odorama), tecnica di visione olfattiva sperimentale. Agli spettatori, prima di entrare in sala, veniva consegnata insieme al biglietto d’entrata una scheda chiamata Odorama Card; questo cartoncino recava dieci piastrine che strofinate emettevano ognuna un odore diverso da annusare in precisi momenti del film. Proprio per questo all’uscita nei cinema statunitensi il film fu pubblicizzato come “Il primo a coinvolgere anche l’olfatto dello spettatore con fragranze vomitevoli” (in Italia lo slogan era semplicemente “È un film puzzesco!”).

Ma esiste qualcosa di più semplice e altrettanto efficace? Certamente, lo stimolo può arrivare anche da un film completamente diverso, da un classico della cinematografia d’autore come La notte di Michelangelo Antonioni (1961). Si tratta infatti di un’opera che colpisce lo spettatore con sollecitazioni sonore costanti: rumori d’auto, gocce di pioggia, clacson e altri effetti diegetici che proiettano lo spettatore nelle scene riducendo il grado di finzione e la distanza.

Il cinema si conferma essere un’esperienza a tutto tondo dove i sensi vengono costantemente stimolati in un vortice di emozioni, in maniera più o meno esplicita.
Barjavel volendo descrivere il cinema totale scriveva “… sarà giunto a compimento quando sarà in grado di presentarci dei personaggi a tutto tondo, colorati, fors’anche odoranti; quando questi personaggi si staccheranno dallo schermo e dall’oscurità delle sale per andare a passeggiare nei luoghi pubblici e negli appartamenti di ciascuno di noi”.

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