Quando si parla di figurine solitamente il primo pensiero va agli album Panini, al mondo dei calciatori e tendenzialmente ad una forma di collezionismo per ragazzi.
Approfondendo la questione invece si finisce per scoprire un mondo variegato, spesso dimenticato e poco approfondito che è quello degli ephemera ovvero dei documenti minori e transitori della vita quotidiana (Maurice Rickards, This is Ephemera; Collecting Printed Throwaways, David & Charles, Newton Abbot, 1977). Non solo calcio, ma anche botanica, personaggi storici, aerei, animali, navi, bandiere… esiste una figurina per qualsiasi cosa vi venga in mente anche la più disparata a cui corrisponde una sorta di classificazione tassonomica dettagliata e puntuale.


La settima arte non poteva esimersi dall’essere coinvolta da questo fenomeno che fungeva contemporaneamente da allenamento mnemonico dei film visti (venivano anche vendute delle novelizzazioni filmiche in formato figurina allegate a riviste di settore), talvolta come surrogato della sala cinematografica e più di frequente come stimolo per alimentare il divismo.
Il fenomeno della figurina è stato indagato nel dettaglio da Mariapia Comand e Andrea Mariani nel loro libro intitolato Ephemera. Scrapbooks, fan mail e diari delle spettatrici nell’Italia del regime (Marsilio Editori, 2020) analizzando una vasta e misconosciuta gamma di materiali, documenti legati alla vita quotidiana, effimeri perché spesso destinati all’oblio, oggi rivalutati in quanto fonti preziose per la storia culturale e materiale.
Alcuni le definiscono carte povere, come Ermanno Detti che nel suo volume Le carte povere. Storia dell’illustrazione minore (La Nuova Italia, 1989) precisa come il termine faccia riferimento a materiali poco diffusi anche fra i ceti popolari più poveri, benché i destinatari fossero, in realtà, un pubblico molto eterogeneo dal punto di vista sociale.


Le figurine così divengono per i posteri un ottimo strumento per strutturare una ricostruzione storica che sia anche la storia delle mentalità per dirla alla Michel Vovelle sottintendendo un’approccio con strette connessioni antropologiche.
Queste piccole immagini di carta, solitamente di piccole dimensioni (non vanno oltre i 6 cm per 5 cm), sono ovviamente una proiezione stereotipata delle bellezze dell’epoca (intese sia al maschile che al femminile), spesso più un’idealizzazione del mondo dorato e perfetto che si voleva raccontare. Ma al contempo raccoglievano anche i desideri, i bisogni dell’Italia che sognava di liberarsi dalle incertezze e le aspirazioni di chi cercava di nascondere le chimere di un passato non troppo lontano (anzi).

Queste figurine discendono alla lontana dalle Silhouette che animavano i teatri di ombre che si trovano fin dai tempi antichi in Oriente e si sono poi diffusi in Europa nel corso del XVII secolo, alla cui base si trovava la proiezione dell’ombra della persona ritratta. La cultura di massa e la piccola stampa non sono rimaste immuni al fascino delle ombre che hanno preso forma nei vetrini delle lanterne magiche prima, materializzandosi poi sulle pellicole e parallelamente sulle carte povere che andavano a costituire il mercato del fandom.

Il divismo in Italia, senza discriminazione di genere, assunse la dimensione a livello internazionale di fenomeno guida e si univa ad un tipo di prodotto, quello dolciario, che aveva una distribuzione piuttosto ampia e trasversale. In questo senso sono molto affascinanti le figurine che accompagnavano i prodotti dolciari italiani dagli anni dieci agli anni trenta, soprattutto quelle edite dai cioccolatifici.

Le immagini ci raccontano tantissimo, compaiono volti e nomi simbolo di piccole e grandi rivoluzioni femminili, di personalità forti, di provocazioni esplicite e sfide coraggiose. Spicca Carmen Boni in abiti maschili, Pina Menichelli audace con fare da dark lady mangiauomini (fu protagonista nel 1916 del conturbante Il fuoco di Pastrone), Maria Roasio che nel 1924 produsse, con lei interprete Bambola vivente film che precorre il cinema di fantascienza in Italia e ispirerà quello inglese del secondo dopoguerra. E ancora la misteriosa Lya De Putti di origini ungheresi e l’eccentrica Ruth Weyher che fu protagonista del dramma-onirico I misteri dell’anima (1926).

La figurina da semplice pezzo di carta finisce per trasformarsi in piccolo frammento di storia, di storie, che continuano a vivere attraverso lo sguardo di chi sofferma su di loro, anche solo per un secondo.

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