Diana e Tommaso sono amici del cuore, un po’ gemelli, un po’ alter ego. Come due amanti si lasciano e si riprendono in un’amicizia platonica e passionale insieme: Diana e Tommaso sono entrambi omosessuali. La voce in prima persona è di lei, lui segue con una più distaccata terza, lei scrive, lui è un immunologo profondamente coinvolto dalla ricerca di contrasto all’Aids.

Roberta Calandra – photo by Barbara Gravelli

Queste le premesse del romanzo Le orchidee (da oggi in libreria per Porto Seguro) che esce in concomitanza con il centenario della morte di Marcel Proust e con il suo monumento letterario A la recherche du temps perdu cui dichiaratamente si ispira, come scrive Roberta Calandra, in chiave pop.

La vita gay di Roma, i salotti culturali nei loro voli e nelle loro superficialità da retro di copertina, l’illusione d’amore e l’inganno percettivo della memoria sono i temi chiave di questa lunga storia d’amore che al suo interno ne contiene una infinità varietà di altre: Chiara e Alessandro i partner dei protagonisti, Veronica e Claudio, i fantasmi del desiderio puro mai risolto completamente.

Sono le intermittenze del cuore a guidarli in un lungo viaggio alla ricerca di se stessi, di un’ambizione esistenziale mai sanata, attraverso incontri e progetti che assomigliano alla vita di tutti e tutte.

La domanda che si pongono continuamente è: come fare quando le emozioni e le scelte non coincidono? Diana insegue la costruzione di un amore ideale incarnato tra i suoi mille compromessi professionali, seguendo bulimica una infinità di corsi spirituali per svincolarsi dai dettami di una famiglia borghese, lacerata da silenzi e tradimenti.

Tommaso fugge dalla piccola città del Sud che lo ha visto nascere, dalla morte per overdose di suo fratello Enrico, da una identità sessuale scomoda, che ha dovuto comprimere per troppo tempo.

A unirli è quel filo ineffabile di riconoscimento che lega le fiamme gemelle in un sapore agrodolce di tensioni, sentimenti confusivi, caparbietà ostinata nello sfidarsi a diventare assolutamente ciò che si sente di essere nel profondo, l’immagine scolpita della quale la persona di cui ci si innamora, come quella che si sceglie di avere accanto quando non coincidono, sono un riflesso costantemente mutevole.

C’è corpo, sesso a voltaggi differenti in questo costante divenire, c’è la partita continua con la morte, quella letterale che trattiene dallo splendere, c’è la voglia inarrestabile di creare qualcosa di significativo nella vita, complicata e interessante, che ci si trova a vivere.

C’è anche il desiderio di diventare qualcosa per restituire esperienza a una versione più giovane di se stessi, per provare a evitare il dolore subito e gli errori commessi, ci sono le vite scanzonate e tragiche dei tanti compagni di viaggio, iscritti in altrettanti camei a diverse temperature, c’è l’anelito verso il Sacro, esoterismo e anima per Diana l’instabile, l’incontro con il Buddismo per Tommaso lo scienziato che, contro se stesso, vuole credere ai miracoli.

Ci sono tanti fiori attorno a loro, splendidi e raffinati come le orchidee, altrettanto inadatti a piantare radici solide, per vederle galleggiare poeticamente in aria, eppure fiorire e meravigliare chi le guarda, nello svelamento analitico di legami a volte ineffabili.

L’arazzo di vite così anomale da invocare un riconoscimento di normalità delle pieghe del cuore che appartengono a tutti: desiderio, illusione, rivincita, delusione, appagamento, battaglia costante contro il rimpianto, le rose mai colte le cui spine ancora pungono, i retroscena di carriere patinate, la trasfigurazione degli irrisolti in eredità per il mondo.

Non c’è rivendicazione in questo romanzo di quasi settecento pagine – dice Roberta Calandra – che vede luce in un momento in cui molte voci della comunità gay vengono o tornano alla luce, ma condivisione di esperienza, svelamento di trame forse solo fantasticate dal lettore comune, ma il suo valore politico resta proprio in questa narrazione di quei sentimenti che la vita, il lavoro, le necessità impellenti della materia, obbligano troppo spesso a dimenticare, a non elaborare“.

In un momento in cui la cultura instant appare l’unica soluzione condivisibile, diverte lo sforzo di una scrittura ambiziosamente monumentale, avvincente come una serie tv di qualità, che a L’amica geniale fa riferimento.

Il racconto schiarisce un po’ l’aria di un tempo a rischio regressivo, che ancora confonde, forse senza innocenza, omosessualità e pedofilia; rende domestiche quelle correzioni inevitabili che si applicano alle scelte, spesso proprio per una difficoltà del tempo a reinterpretare correttamente la memoria del passato, personale e pubblico, condannandoci a riviverlo incoscientemente, senza felicità, unica colpa della quale non possiamo sbrigativamente liberarci.



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