Cosa può fare un romanzo per riappacificare gli italiani con l’aspetto più controverso della loro storia unitaria, cioè col fascismo? Moltissimo direi, e a posteriori c’è da stupirsi che nessuno abbia avuto prima l’idea che valse ad Antonio Scurati il Premio Strega nel 2019: raccontare il nostro passato con l’occhio e la tecnica del romanziere.

Attenzione, non stiamo parlando di romanzo storico. La (per ora) bilogia M il figlio del secolo (Bompiani 2018) ed M l’uomo della Provvidenza (Bompiani 2020) dedicata a Mussolini nulla ha da spartire con la fantasia. La storia, in questi due libri, non è il semplice sfondo di trame fittizie. È, invece, il centro del plot.

Come accade nei trattati storiografici o nei manuali da liceo, il racconto segue la realtà dei fatti, i personaggi interagiscono secondo fattispecie autentiche, niente è lasciato all’invenzione – se non trascurabili (e rari) passaggi di raccordo.

Chiederete: dove sta allora il romanzo? Sta nel linguaggio. Si dice che il romanzo sia verità nella menzogna, definizione in sé giusta perché paga il tributo alla sineddoche implicita in ogni forma di comunicazione. Una storia, un discorso, un racconto, un articolo vale nella misura in cui vi si possano trarre verità generali, superiori alle opinioni e ai tempi.

Ma affinché uno scritto sia romanzo occorre, in più, un linguaggio vitale, un approccio che consenta al lettore di vivere le emozioni del personaggio da cui di volta in volta parte la prospettiva con pari intensità.

Qui di prospettive ce ne sono a bizzeffe. Non c’è solo Mussolini. Ci sono i quadrumviri, le amanti, gli amici presunti o reali, i segretari del partito, i membri del Gran Consiglio, Pietro Badoglio, Rodolfo Graziani, gli oppositori, i delusi, le vittime. Un quadro di eterogeneità unica, brillantemente risolto con la tecnica dei capitoli brevi, preceduti e seguiti dalle fonti così come riportate dai fondi d’archivio.

Storiografia e narrativa s’intrecciano a fornire un servigio enorme alla nostra coscienza nazionale, rimasta sino a oggi impantanata nel complesso di colpa della guerra perduta.

Dal 1943 noi italiani ci rifiutiamo di guardare al Ventennio col disincanto che si deve alla storia. Dopo ottant’anni è tempo che iniziamo a farlo, e il doppio capolavoro di Scurati ci aiuta al punto da candidarsi a diventare l’opera per antonomasia di introduzione al fascismo, persino più della grande storia di De Felice, cui fa difetto la vitalità del linguaggio.

Nel video vi racconto molto di più. Buona visione!

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