“Cerco nei poeti il grido, non la serenata”

Scrive Erri De Luca sulla poesia del Novecento e quel grido poetico l’ho ritrovato nell’ultimo album di Piero Pelù. Deserti è un vero manifesto rock e civile che ci invita alla resistenza, a guardare negli occhi, conoscere e combattere il dolore, a risalire dal fondo, a piantare quei fiori che nascono dal letame, per dirla alla De Andrè, stando al fianco dei bambini che cadono nelle guerre, contro ogni violenza, la fame, il delirio digitale, la solitudine, l’abbandono.

“Deserti”, la saggezza di Piero Pelù

La saggezza di Piero Pelù esplode nella sua voce orfica, disperata, potente, un’eco che si impianta nella testa e scatena ogni pianto, sputo, ogni volo per sopravvivere al deserto dell’umanità. Ma il deserto di Piero è capace di fiorire grazie ad una pioggia di luce, una tempesta di chitarre e suoni tribali che rimettono in circolo il sangue dal cervello al cuore per ritrovare quell’orizzonte strappato e ricucito.

Con Piero condividiamo la stessa educazione sentimentale, la fraternità e lo stesso sguardo sul mondo, è un uomo che fa sul serio Pelù, è sincero, vero, leale, un Pasolini felliniano capace di tornare ancora una volta ad essere quell’eroe chisciottesco che giocava con il mare nel vento.

Il mondo non sta bene, è un bollettino di guerra, ma c’è qualcosa di sacro in questa battaglia di Piero, qualcosa di epico, un viaggio all’inferno da dove si può tornare solo cantando come Orfeo, ma questa volta è urgente voltarsi indietro recuperando ogni pezzo di porcellana fragile.

Una ballata psichedelica, una danza sciamanica

Deserti è una ballata psichedelica morriconiana, una danza sciamanica che proviene da un mondo parallelo. Pelù in questo disco è omerico, un Odisseo che imbraccia la chitarra, come Antonin Artaud ha combattuto contro l’ignoranza, il potere, la violenza, l’odio, la follia cercando la rivoluzione nella regressione (Scacciamali).

Come Slavoj Zizek cerca di sottrarsi alla tempesta tecnologica per attraccare i sentimenti al reale, in un corpo a corpo fra illusorio, virtuale, immaginario e tensione della realtà (Tutto e subito). Come Ozzy Osbourne ha attaccato la flebo all’amplificatore per salvarsi dalla malattia e dalle onde nelle testa (Baraonde). Come Kurt Cobain cerca disperatamente l’amore nella vertigine di un destino al di là della quarta parete sopra il cielo di un palcoscenico (Maledetto cuore).

Come Stig Dagerman cammina fra le macerie delle città distrutte dalle guerre in quel bisogno di consolazione alla ricerca del diritto all’esistenza, al riscatto, alla libertà (Novichok e Il mio nome è mai più). Come Alda Merini cerca l’amore nel delirio (Picasso). Come Bob Dylan cerca risposte nel vento di una canzone(Canto). Come Jon Fosse cerca la voce delle ombre prigioniere delle barriere sociali per comprendere come uscire dal disagio laconico, l’incertezza e l’indifferenza di questa contemporaneità (Elefante). Come Quentin Tarantino cerca i mostri nascosti e le ragioni della violenza urbana (Baby Bang).

Piero Pelù con Deserti cerca nell’azzurro cielo di Chagall quel riflesso per staccare l’ombra da terra e filtrare la luce dalle feritoie delle porte lasciate chiuse per troppo tempo spalancate dall’urlo di una voce a cavallo di una chitarra sapientemente distorta.

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