I Litfiba riscrivono la Divina Commedia del rock. L’ultimo girone non è un cerchio dell’Inferno ma un’aura per uno dei cieli del Paradiso di Dante. Sì, perché il rock di Piero Pelù e Ghigo Renzulli ha salvato intere generazioni ed ha qualcosa di divino più che di diabolico. È stata una cura, un’educazione sentimentale, una speranza, un graffio, un urlo, un volo.  

La mia generazione deve molto alla loro poetica civile e rivoluzionaria. La musica assoluta di Ghigo, il rock d’autore e la letteratura, il teatro fisico e la voce di Dio. Quella di Piero Pelù. Senza i Litfiba non ci sarebbero i Måneskin e altri artisti che hanno trovato nella loro visione e nel loro viaggio una strada non solo nella musica.

Sulle loro orme ci sono scrittori, autori, poeti, registi, danzatori, attori, teatranti, calciatori: qualsiasi artista abbia vissuto la loro musica nell’età della formazione ha seguito un percorso diverso, ha guardato la vita con occhi diversi cercando nuovi linguaggi, sperimentando, osando.

Già, perché i Litfiba quegli occhi ce li hanno aperti insegnandoci a guardare e non semplicemente a vedere, quegli occhi ce li hanno spalancati su un giardino segreto che continua ancora a fiorire. Il loro coraggio, la loro ispirazione, la loro ostinazione, il loro talento, il loro sacrificio. Sono stati capaci di conquistare e curvare la luna e ridisegnando la linea della vita sul nostro palmo.

Vivere l’ultimo concerto dei Litfiba commuove, c’è una alchimia emotiva potente, una macchina del tempo che ferma l’orologio di sabbia di Borges con un approccio da Bardo Tödröl Chenm. Flashback e salti temporali, una visione infinita che opera i sentimenti a cuore aperto.

Si piange, sì, quando Piero ci canta di “Guerre di eroi, tradite senza pietà e svaniti nei secoli – e di quel – bambino che gioca con il mare”. Pura poesia questo testo. Come lo è Lulù Marlene, Istanbul, Woda Woda, Vivere il mio tempo, Apapaia, Bambino, Paname, tutte canzoni presenti in questa meravigliosa scaletta.

Una scaletta perfetta, precisa, infinita, poetica, esplosiva, necessaria. Totale. A Piero Pelù si deve il dono della scrittura delle liriche. Per Pelù negli anni sono arrivati i Premi (“Ciampi”, “De Andrè” e “Lunezia”) per il valore letterario e poetico. Negli anni sono arrivati i Premi Ciampi e De Andrè. Necessario, pertanto, un appello ai giurati del Premio Tenco: ma cosa aspettate per attribuire il Premio Tenco alla carriera ai Litfiba?

Quarantadue anni di sangue, sudore, storie, chilometri, lotte, impegno, amore, non solo canzoni ma vita, adrenalina. Un’energia straordinaria quella che Piero Pelù riesce a trasmettere con la stessa fisicità, la stessa voce, la stessa grazia, lo stesso dono, lo stesso rito, la stessa magia di questi quattro decenni di gioia e godimento.

Sì, perché la musica dei Litfiba è un canto di gioia, una terapia, permeata da una sapiente leggerezza e allo stesso tempo potente, dirompente profondità. Un coraggio e un impegno civile che letteralmente si mangiano i cantautori anni settanta, perché Piero Pelù ci mette il suo corpo, la carne viva nelle battaglie ricorrendo a registri narrativi diversi, ed ancora Tex, dedicata alla “riserva indiana del Rock n roll” più vivo che mai, i diritti negati dalle dittature in Istanbul (che oggi Piero dedica ai Kurdi con il mantra bowieriano Yassassin), o la montagna di merda della Mafia in Dimmi il nome con l’invito a denunciare contro l’omertà per rendere omaggio a Falcone e Borsellino.

Ma ancora il corpo a corpo generazionale ed esistenziale in La preda, la rivendicazione ad essere liberi dei propri sogni in Apapaia, Proibito e Spirito e la satira degna de Lu santo jullare di Dario Fo di El Diablo contro un mondo di bacchettoni che demonizzano il rock e tutti gli angeli caduti che al contrario con una sola ala spezzata sopravvivono alle fragilità della vita grazie alla medicina chiamata rock. 

Visioni nella mitologica Fata Morgana perchè nell’epoca dei fake “niente di ciò che appare è come sembra”. La commozione di un padre per una figlia che cresce in Vivere il mio tempo ed ancora la preghiera laica per una vita strappata troppo presto in Il volo, l’incanto di restare bambini in Bambino.

La leggerezza apparente di canzoni come Ritmo 2# che ci invitano a cercare la felicità.

“È un ritmo che vibra e che ti porta fino in cielo/Lottando giorno e notte/Ballando tutta la vita”,

versi che mi fanno venire in mente un detto argentino “nessuno può toglierti tutto quello che hai ballato”, un grande invito alla vita.

Rimangono solo due date del tour d’addio dei Litfiba, il 26 e il 30 agosto. Portateci i vostri figli o portateci i vostri vecchi, portateci le persone che amate. Alla fine vi abbraccerete, canterete, piangerete, riderete, vi incazzerete, vi indignerete, cambierete, amerete, volerete insieme.

La data che ho vissuto è stata quella di Lecce, nella mia Puglia. Mi ha commosso vedere una coppia di genitori con un figlio adolescente autistico che ballavano e cantavano insieme sulle note di Lacio Dorm “La strada che non finisce mai/ Io senza piedi userò le mie mani” – e allo stesso tempo vedere Piero e Ghigo condividere insieme sul palco l’ultimo bicchiere con l’augurio di trovare “un altro mondo per noi due”.

Sono sicuro che alla fine del tour, magari come dono di Natale, arriverà un bel triplo o quadruplo vinile live. Un ultimo regalo per tutti, per fermare il tempo per sempre. L’entusiasmo per questo tour è dirompente, ho sentito molti amici con i quali condividiamo l’antica ed autentica passione per i Litfiba e l’amicizia fraterna con Piero. I Litfiba e Piero Pelù, come amiamo dire io ed Ernesto Assante sono il padre, il figlio e lo spirito santo del Rock italiano. Grazie Piero, grazie Ghigo. Hasta Siempre Litfiba.

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