Erri De Luca ci ha regalato una piccola favola di Natale, un cristallo di poesia da appendere sotto l’albero che non ha bisogno di luci elettriche perché fa tornare le lucciole ad illuminare una notte di solitudine, lasciando che la luce penetri da una crepa, per dirla con le parole di Leonard Cohen.

Una storia magica che rivela una delicatezza sognante, frutto di quella sacralità civile e folk che abita la scrittura di Erri De Luca. L’ospite della vigilia è una piccola perla pubblicata due anni fa da Terre Di Mezzo Editore, figlio editoriale del giornale di strada venduto dai migranti, nato a Milano ventotto anni fa. La storia è impreziosita dalle illustrazioni di Alessandro Sanna.

Un graffio acquarellato che ha i colori della terra. Un uomo che vive solo in una casa di campagna nella vigilia di Natale apparecchia per due. Una svista di felicità a braccia aperte come insegna Il pescatore di De Andrè. Fuori c’è una nebbia felliniana, nessun amarcord ma solo un gesto involontario che si fa dolce compagnia.

Una voce di dentro di Eduardiana memoria o l’arrivo delle persone che si sono amate, che hanno abitato quel piatto che sa di dover accadere, come le stelle invisibili sotto la neve che sanno di essere desiderate. La bolletta non pagata e la poesia di una candela che dirige l’orchestra di fuochi del camino dove le castagne hanno il sapore del Novecento insieme ad una cipolla, alibi per la commozione e un uovo, placenta e culla di madre. Le mani dell’uomo si sfregano in cerca di un suono che assomigli ad una voce amica o al ghigno di un sorriso.

Due fari squarciano il silenzio della nebbia, l’uomo indossa la giacca ed un cappello e con una lampada a petrolio si avvicina. Un uomo della sua stessa età abbassa il finestrino, ha l’auto in panne. Chiede permesso per la sua presenza in mezzo alla nebbia di Natale. “Non vuole venire dentro? Qua è freddo e magari la nebbia resta fino a domattina”.

L’ospite inatteso teme di disturbare il cenone di Natale ma l’uomo lo rassicura – “Macchè, sto da solo”. Quel piatto apparecchiato lavorerà questa vigilia. Come educazione vuole, quando si è invitati a cena l’ospite tira fuori dalla sacca una bottiglia di vino. I due uomini brindano alla vita. “Vengo dritto dalla Bosnia. Sono stato a fare un viaggio con gli altri furgoni a portare un po’ di roba che serve più a loro che a noi”.

È un volontario umanitario. L’uomo gli chiede della guerra e l’ospite gli risponde che “è la nostra specialità di gente umana. […] Anche Natale è frutto di una guerra. […] e così Maria partorisce lontano da casa. Natale è una notte di pace in mezzo alla guerra”. L’uomo confessa che la natura e le montagne gli donano pace. Anche Gesù ha scelto di nascere fra le bestie invece che fra gli uomini.

L’ospite è alla ricerca della fede per spiegare il senso del creato. Quella casa in mezzo alla nebbia di Natale è in qualche modo una manifestazione di un qualcosa di sacro. Non c’entra la fede, ma il senso del mondo, della vita, della pace, della fratellanza, dell’abbraccio fra due sconosciuti che dividono il calore del camino. La fede nell’umanità è apparecchiare per due, qualcuno arriverà. Una macchina del tempo dove magari incontreremo chi siamo stati o chi saremo per stringerci la mano.

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