Dietro a un grande uomo, c’è sempre una grande donna?
Dietro un grande uomo c'è una grande donna? Il linguaggio che usiamo dice tanto di noi, della società in cui viviamo. Il libro "Invisibili"
Dietro un grande uomo c'è una grande donna? Il linguaggio che usiamo dice tanto di noi, della società in cui viviamo. Il libro "Invisibili"
“Dietro a un grande uomo, c’è sempre una grande donna”.
Dietro. E se ci avessero tramandato questa celebre frase con un altro avverbio? Ad esempio, accanto. Forse per molte persone non sarebbe stato strano vedere una donna fare carriera, ricevere un premio prestigioso, salire su un palco importante.
Forse oggi potremmo avere ogni anno 800.000 donne morte di cancro in meno nel mondo, a causa del considerevole divario di fondi che vengono investiti per la salute femminile rispetto a quelli investiti per la salute maschile (Women, Power and Cancer report, Lancet, 2023). Forse negli incidenti stradali, le donne non avrebbero il 47% di probabilità in più di uscire gravemente ferite rispetto agli uomini o 17% in più di morire, a causa della mancanza di crash test su manichini che riproducano le caratteristiche dei corpi femminili (Criado Perez, Invisibili, Einaudi, 2020).
Tutto questo per una parola? No, ovviamente. Ma le parole che pronunciamo dicono tanto di noi, della società in cui viviamo, della nostra visione del mondo. E al tempo stesso condizionano chi ci sta attorno, la forma mentis delle nuove generazioni e la società stessa.
Facciamo un esperimento: se ci dicono
“i partecipanti di questo corso sono stati molto attivi”.
Chi pensiamo che ci fosse in aula? Uomini o donne? Questo accade ogni volta che usiamo il maschile plurale per includere donne e uomini.
Se vediamo un’insegna fuori da uno studio professionale con una di queste scritte Architetto M. Rossi, Ingegnere L. Bianchi, Avvocato S. Neri, chi pensiamo di incontrare una volta aperta la porta?
Questo accade ogni volta che usiamo il maschile per alcune professioni (per lo più quelle prestigiose e meglio retribuite!) anche se a svolgerle sono delle donne (Maria Rossi, Laura Bianchi, Sofia Neri), dimenticando che la grammatica italiana prevede per queste, come per tante altre professioni, il corrispettivo femminile (architetta, ingegnera, avvocata).
E se leggessimo su un giornale Il Salvini oggi a palazzo Chigi, cosa penseremmo? Che chi ha scritto il titolo forse ha dimenticato una regola elementare: davanti a un nome proprio non va messo l’articolo. Eppure, non ci suona strano quando sentiamo la Meloni o la Schlein. Come mai? Perché sono eccezioni alla norma. E la norma è l’uomo.
A una donna che arriva in posizioni apicali, autorevoli, sentiamo il dovere di ricordare che NON è la norma, non è un uomo, quindi, sottolineiamo che è una donna aggiungendo l’articolo.
Infine, se una bambina a scuola sentisse dire quest’anno studieremo la storia dell’uomo, potrebbe pensare che nella storia, nel passato dei popoli precedenti, non ci fossero donne. Perché anche in questo caso, ogni volta che usiamo il termine uomo per includere la donna, in realtà la donna la stiamo proprio nascondendo. E bene. Molto più spesso di quanto crediamo, quello che diciamo continua a tramandare l’idea che al centro di tutto ci sia l’uomo. Dietro, molto dietro, le donne. Sempre che ci siano.
Laura Nacci, divulgatrice linguistica, studiosa e docente di parità di genere in ambito professionale, direttrice della formazione di SheTech.