Oggi inauguro una nuova rubrica che ho chiamato Dietro le quinte e con la quale tenterò di raccontare ai lettori di Rewriters delle storie significative che si celano dietro alcune canzoni. Il 13 gennaio del 1968 Johnny Cash entrò nella prigione di Folsom, in New Mexico, per esibirsi davanti a tutti i prigionieri. Per lui, ex galeotto, si trattava certamente di un’occasione umanamente e professionalmente importante, ancorché non si trattasse di una novità avendo già cantato in altre carceri. Per la prima volta, però, avrebbe registrato l’evento ed inoltre, proprio a quella prigione aveva dedicato un suo famoso pezzo: Folsom Prison Blues.  

Voglio però concentrare l’attenzione non tanto sull’intero concerto, bensì solo sul brano finale della set list, perché trovo la sua back story molto interessante. La canzone è Greystone Chapel ed era stata scritta proprio da uno degli ospiti di Folsom di nome Glen Sherley, condannato per una rapina a mano armata. La sera prima del concerto un pastore cappellano del penitenziario, amico di Cash, lo raggiunse nel suo motel per fargli ascoltare il pezzo in questione, che parla di colpa e redenzione ed era stato in qualche modo ispirato alla cappella di Folsom. Lui l’ascoltò e decise di provarla subito per poterla inserire nella scaletta e fare una piacevole sorpresa all’autore del brano. Il pastore si portò Sherley in prima fila senza dirgli nulla e quando Johnny presentò finalmente Greystone Chapel, raccontando che si trattava di una canzone scritta da uno di loro, ci fu una grande ovazione e chiaramente una certa commozione generale.

Successivamente, una volta che fu pubblicato Live At Folsom Prison il prigioniero divenne conosciuto in tutta l’America e nel 1971 Eddy Arnold, una cantante Country, volle registrare come singolo Portrait of my woman, scritta da lui, dando il medesimo nome al suo nuovo LP. Una volta che Sherley fu trasferito nella prigione di Vacaville, Johnny Cash spinse affinché potesse addirittura registrare un suo disco dal vivo (per i curiosi, reperibile sulle piattaforme streaming) e quando fu rilasciato di prigione lo aspettò all’uscita. Presolo sotto la sua ala, lo portò perfino in tour con sé, ma le vecchie abitudini e l’indole violenta dell’ormai ex detenuto non tardarono a farsi vive: dopo che Sherley aveva minacciato alcuni membri del suo staff, si vide costretto a licenziarlo. Purtroppo, il successo gli aveva dato alla testa e non era riuscito a far tesoro di quella fortuna che, in fondo, gli era capitata inaspettatamente. Lavorò come mandriano in una fattoria, ma poi ricominciò a delinquere e iniziò a drogarsi.  Proprio mentre era sotto l’effetto della droga, nel maggio del 1978 sparò ad un uomo e si nascose dalla polizia per giorni. La paura di tornare dentro era troppa e così, dopo aver chiamato la figlia, per dirle che non avrebbe mai potuto tornare dentro, si suicidò un paio di giorni seguenti.

Certamente ho provato a riscrivere e raccontare una storia del rock non a lieto fine, che dimostra però la grande forza della musica come strumento di solidarietà e di emancipazione, che può (entro certi limiti) cambiare la vita delle persone. Quanto al grande Johnny Cash: a causa del comportamento di Sherley dovette suo malgrado distanziarsi da lui, ma il suo intervento era stato realmente a fin di bene, riuscendo a dare una nuova possibilità ad un uomo ormai socialmente perso. Di questo, senza ombra di dubbio, va dato comunque merito al mitico Uomo in Nero.

“Si costruisce sul fallimento. Usalo come un trampolino di lancio. Chiudi la porta del passato, non dimenticare i tuoi errori, ma non fissarti su questi. Non lasciare che abbia nessuna delle tue energie, del tuo tempo o del tuo spazio”.

Johnny Cash

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