Nel 1993 il grunge era un genere in pieno fermento e la ricerca della next big thing era ancora in atto da parte delle maggiori case discografiche. Una di queste, la Atlantic Records, decise di investire su una band che non aveva eguali nel panorama dell’epoca: i Melvins. Gli sfigati di Aberdeen, Washington, avevano come nucleo centrale il chitarrista/cantante Roger “Buzz” Osborne e il batterista Dale Crover, mentre nel ruolo di bassista, nel corso degli anni, si sono avvicendati moltissimi musicisti, nessuno che riuscì, però, ad assicurarsi l’agognato posto fisso. All’epoca come terzo componente figurava Lori “Lorax” Black, celebre per essere la figlia dell’attrice Shirley Temple, l’enfant prodige del cinema a stelle e strisce, anche se si vocifera che l’intero album sia, in realtà, suonato completamente solo dai due compari, parti di basso comprese.

Houdini fu il primo dei tre dischi pubblicati per la major statunitense. Seguiranno infatti Stoner Witch e Stag, che si riveleranno più deboli e meno memorabili del predecessore. Ennesima curiosità è la doppia veste assunta da un certo Kurt Cobain, che ricoprì, per l’occasione, il duplice ruolo di produttore e di ospite illustre nei brani Sky Pup e Spread Eagle Beagle. Ma non mi fermerei qui. La quarta traccia è una cover di Going Blind dei Kiss, gruppo amato da sempre dal terzetto e omaggiato in passato da tre EP che scimmiottavano ciò che fecero nel 1978 i quattro di New York, ovvero far uscire un disco solista per ogni componente della band, raffigurante in copertina il volto dell’artista in questione.

Ma dopo aver dato un piccolo sguardo al dietro le quinte di questo lavoro, torniamo a noi. Brutalmente il drumming secco e concreto di Dale ci accoglie, sparandoci a bruciapelo poderosi fill al fulmicotone (Hooch). Night Goat è una tempesta sludge metal che rade al suolo ogni forma di vita circostante. Il doom cadenzato di Lizzy e la già citata Going Blind, ci preparano al tour de force che ci si prospetta con Honey Bucket, un ruggito punk grezzo e spietato, e Copache, una canzone stoner breve per quanto potente, capace di farci saltare tutti i denti dalla bocca, su gentile concessione di mister Buzz Osborne in persona. Una flebile speranza di resa la troviamo in tracce più power pop come Set Me Straight o Teet. Ma è una sensazione passeggera smantellata dal basso ridondante di Pearl Bomb, che insieme a Spread Eagle Beagle pongono la parola fine ad un disco indomabile, che non inciampa mai durante la sua corsa forsennata.

Come l’escapologo Harry Houdini, che dà il nome all’album, i Melvins sfuggono al tentativo telefonato di farsi affibbiare un’etichetta, confermandosi dei maestri dell’anti-convenzionalità. Se nel corso della loro carriera si sono fatti pochi scrupoli nel mordere la mano che li nutre, stavolta puntano a staccare l’intero braccio.

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