Fermi tutti. Questo è un film che nessuno dovrebbe perdere. A cominciare dagli adolescenti, sì: dovrebbe essere proiettato nelle scuole. Poche cose educano (ex ducere) più del viaggio, e il cinema, come la letteratura e le altre arti, viaggio lo è eccome. Viaggio nella conoscenza, di sè e del mondo, di sè attraverso il mondo, del mondo come parte di sè. E la conoscenza è libertà. Perchè uso un verbo normativo come dovere? Perchè in qualche decina di minuti che scivolano via come un soffio, sullo schermo si condensa la rappresentazione di una serie di valori che sono utili allo sviluppo della persona e all’evoluzione di una società. Dovere quindi come presa in carico e di responsabilità della nostra igiene esistenziale e di quella dei nostri figli. Non è un dovere morale: è senso etico della vita.

Davvero, uno dei film più coraggiosi degli ultimi anni. E dire che di pelo sullo stomaco ne ho, io, e ce ne vuole per turbarmi. Soprattutto su questi temi, l’amore tra due donne. Ebbene, a cominciare dall’eros alle prime scene tra due donne direi settantenni, l’intero film scardina stereotipi, rompe gli schemi, polverizza gli standard, riscrivendo ogni codice, primo tra tutti quello estetico. Eppure tiene.

Premetto, io non sono raffinata, Tarkovskij mi annoia mortalmente, per intenderci. Dunque non vi immaginate un film ultra d’essai, coi colori smorti e la telecamera che balla, di quelli che piacciono principalmente agli addetti ai lavori e ai sedicenti critici cinematografici. O una nicchia per le nicchie, che parla di lesbiche e di vecchi, di emarginazione e degrado, impegnatissimo e socialmente utile. No. Dicevo appunto che il film tiene. Tiene la tensione, i vari colpi di scena, crea identificazione e empatia, irrompe, impatta, commuove e fa incazzare.

Parla d’amore con una poesia profondissima e mai scontata, patetica o banale. E’ un amore irriverente e scabroso come lo sono sempre gli amori ineluttabili, quegli amori che non possono che arrendersi e lasciarsi vivere, per quanto fuori posto. Un amore gigantesco, senza condizioni, che è cura e accudimento ma anche fiamma, impeto, follia. Un amore senza età, senza limiti nè barriere, un amore che usa gli amanti prescelti per incarnarsi e attraverso loro vivere, e svilupparsi, e diventare maestoso e potente. Talmente potente da ammutolire tutti.

E bravo il nostro esordiente, Filippo Meneghetti, regista italiano di stanza in Francia che si candida a diventare una delle voci più interessanti del nostro cinema. Il film, interpretato da due attrici leggendarie come Barbara Sukowa (Premio migliore interpretazione femminile a Cannes per Rosa L., di Margarethe von Trotta) e Martine Chevallier, è stato presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma a fine ottobre 2020 e doveva uscire oggi, 5 novembre 2020, se i cinema non avessero improvvisamente chiuso i battenti causa Covid.

Meneghetti ha detto: “Il film racconta la storia di una sfida e di una passione insieme dolce e caparbia. Ma questa sfida è anche un modo di esplorare alcuni temi che mi affascinano: quanto influisce sulle nostre azioni lo sguardo degli altri? Quale conflitto interiore si accende nel confronto con questo tipo di censura? Gli ostacoli che incontrano sul loro cammino spingono spesso Nina e Madeleine a comportamenti estremi, ma non dobbiamo dispiacerci per loro: sono eroine che combattono per il loro amore. L’ispirazione per il soggetto e per le due protagoniste proviene da varie persone che ho conosciuto, le cui storie mi hanno lasciato una profonda impressione. Per tanto tempo ho voluto scriverne, ma non ero sicuro dell’angolazione migliore per farlo. Poi un giorno, mentre stavo per suonare alla porta di un amico, ho sentito delle voci arrivare dall’ultimo piano del palazzo: sono andato di sopra a dare un’occhiata e ho scoperto che le porte dei due appartamenti confinanti erano aperte e le voci erano quelle di due donne che si parlavano dalle rispettive abitazioni. Più tardi, il mio amico mi ha spiegato che si trattava di due vedove, che scacciavano la solitudine tenendo costantemente aperte le loro porte e vivendo di fatto in una specie di grande casa comune che si estendeva per tutto l’ultimo piano. Questa immagine ha innescato qualcosa nella mia testa, al punto che questo spazio che lega i due appartamenti è diventato un aspetto centrale del film, anche per la sua capacità metaforica. Mi ha permesso peraltro di giocare con i codici del cinema di suspense, girando questa storia d’amore come se fosse un thriller: un occhio che guarda dallo spioncino, un intruso nella notte…”.

Guardate il trailer e tenete d’occhio le riaperture delle sale!

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