The Great Reset” sembra il titolo di un romanzo, ma è in realtà la nuova narrazione del sistema-mondo che verrà inaugurata al World Economic Forum previsto a Davos il prossimo Gennaio. A detta degli economisti che si incontreranno al prestigioso meeting è di vitale importanza dare ora il via ad “un deciso ripristino per costruire un nuovo contratto sociale che onori la dignità di ogni essere umano”. Sembra una terapia shock per un pianeta febbricitante alle prese con uno slalom più insidioso di una pista nera, tra curve pandemiche e lock down.

Il cambiamento è in atto, su questo non ci piove, quando non diluvia… e la resilienza assieme alla sostenibilità e all’equità sembrano essere i temi fondanti di un new e-deal oramai dietro l’angolo. Di fatto la digital transformation rielaborerà le nostre esistenze togliendo fette sempre più consistenti di economia reale per affidarle a dei fantasmagorici algoritmi incredibilmente intuitivi, empatici ed estremamente invasivi. Un’infinità di dati verranno immagazzinati in blindatissimi ma pur sempre vulnerabili cloud data-centers, dei super dipartimenti collegati con dei cervelloni artificiali, la cosiddetta AI, a cui verrà delegata sostanzialmente la gestione della maggior parte degli ingranaggi della società mondiale.

Finché si tratta di delegare ai rappresentanti politici alcune scelte cruciali della nostra esistenza il patto può reggere, però in questo momento neppure la democrazia gode di ottima salute, contagiata allo stesso modo da oscuri nemici invisibili. Come ogni singolo individuo sempre più in balia di una realtà che rifugge dal buon senso. Senonché, come soluzione, ci viene prospettata l’idea di consegnare alle macchine la gestione automatica di un crescente numero di mansioni rimpiazzando quel capitale umano che farà la stessa fine dei titoli spazzatura. Il digitale si imporrà anche in quei settori che richiedono un approccio sensibile, aumentando di fatto e in maniera esponenziale le distanze tra le persone per collegarle tutte esclusivamente tramite dei dispositivi sempre più dispotici. Uno scenario che sembra davvero proiettarci in un film tratto da un romanzo distopico.

C’è chi s’è accorto tanto tempo fa che il sistema era già contagiato da troppi conflitti di interesse ed è iniziata una narrazione alternativa, quella che ha visto la nascita dei villaggi ecologici. Proprio come chi in questo pandemonio sente ora l’urgenza di un altro tipo di reset, quello personale. Invece di assistere allo squallore mediatico ingozzandosi di ansiolitici o di popcorn, anziché persistere nel delegare le scelte più cruciali che riguardano la nostra sfera esistenziale, arriva una liberatoria decisione di svoltare in prima persona, di ambire assieme ad altri che sono nella stessa situazione a realizzare un progetto ambizioso ma possibile: fondare un ecovillaggio. O entrare in uno già esistente, impresa altrettanto soggetta a indistricabili varianti.

Ma che cos’è un ecovillaggio? Per tanti sognatori è una meta turistica in un contesto naturale da prendere in considerazione per le prossime vacanze. Per i sognatori più svegli una scelta di vita che ha come fondamento la relazione, un viaggio in cui la nostra storia personale può esplodere nella sua potenza e bellezza, un’intensa esperienza umana per tradurre e nutrire il proprio quotidiano in un’impresa che attua concretamente un radicale cambiamento politico, economico, sociale e, per citare ancora Francesca Guidotti, già presidente per diversi anni della Rete Italiana Villaggi Ecologici e autrice del libro “Ecovillaggi e cohousing“, una scuola di vita che porta ad assaporare profondamente e sotto varie sfaccettature la bellezza delle persone, le difficoltà emotive, la fatica e la sfiducia, l’abbandono e le più grandi soddisfazioni, la mediazione e la presa di posizione, la velocità e la lentezza, l’ansia e la più totale fiducia.

Con questo spirito e molto altro ancora, in una trentina di comunità in Italia e in altre centinaia sparse in tutto il mondo si svolgono i Forum degli Ecovillaggi, dove si riuniscono delle persone che come a Davos decidono in merito ad un futuro possibile, con la differenza che in questi gruppi che possono contare anche su centinaia di membri, le decisioni maturate da una ponderata mediazione ricadono in pratica sulla stessa comunità, mentre nei vertici economico finanziari si decide della vita di una massa di individui sempre più ampia. E non tutti gradiscono, anzi, più la spartizione dei beni è ingiusta, più cresce un malcontento che minaccia la stessa coesione sociale.

Ecco perché la comunità, più che con regole o assurde imposizioni, si autoregola tramite accordi, concertati, condivisi, costruiti ad hoc sul principio della responsabilità diretta per rispondere ai singoli bisogni e permettere ad un gruppo di fiorire nel proprio intento con il trascorrere del tempo, lasciando spazio ad ognuno di esprimersi evitando però le dispersioni di energia e l’inconcludenza. Per orientare una società verso un’autentica sostenibilità è fondamentale un ascolto reciproco tra ogni singola parte che compone il tutto sia essa un gruppo, una comunità locale, una regione.
In fondo la nostra specie non è che un complesso sistema organico dove ogni cellula, nel proprio precipuo interesse, dà il suo migliore contributo al corpo a cui appartiene.

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