Arrock down: quando le libertà sono messe sotto scacco dal re Covid
Il gioco degli scacchi è logica o allenamento, pathos o arte, lotta strenua o occasione di svolta? E' soprattutto metafora della vita.
Il gioco degli scacchi è logica o allenamento, pathos o arte, lotta strenua o occasione di svolta? E' soprattutto metafora della vita.
“La scacchiera è il mondo, i pezzi sono i fenomeni dell’universo. Le regole del gioco sono quelle che noi chiamiamo leggi della natura. L’altro giocatore è nascosto a noi; sappiamo che il suo gioco è sempre corretto e paziente. Ma sappiamo anche, a spese nostre, che egli non perdona mai uno sbaglio né fa mai la più piccola concessione all’ignoranza“. Come non dare ragione a Thomas Henry Huxley mentre vediamo le libertà individuali messe sotto scacco perché il mondo intero adotta la politica dell’arrocco per respingere l’assalto di Re Covid con tanto di corona ed esercito di virus invisibili?
Jay-z, rapper statunitense, dice che suo padre ci ha tenuto tanto ad insegnargli il gioco degli scacchi perché riteneva che “la vita è come una scacchiera gigante in cui devi essere completamente consapevole del momento, ma anche pensare a qualche mossa da seguire“.
C’è chi giudica gli scacchi un’attività noiosa e non un allenamento per guardare oltre e sviluppare il pensiero divergente pur di trovare una soluzione, chi li considera un vano passatempo per egocentrici sfaccendati, cervellotici eccentrici o anziani alla frutta capaci solo di sfidare la propria pazienza perché hanno un sacco di tempo da perdere. Eppure è un gioco che richiede uno sforzo mentale non comune a tutti oltre ad un’energia e una freschezza mentale paragonabili a quella di un fanciullo.
Perché non è tutta logica quella che luccica nei Grandi Maestri, ma anche una buona dose di intuito geniale che, se coltivato sin dall’infanzia, può sfociare in un percorso esistenziale stratosferico o in una passione che brucia ore, giorni, anni in un’inestinguibile fiamma. Dipende poi se perdi o vinci (il pareggio non è molto frequente) in un tourbillon di attimi infiniti che arrestano il tempo in un ansioso ed eterno presente, in cui lo stato d’animo e non solo il tuo re (o quello dell’avversario s’intende), si trova in una morsa asfissiante densa di pathos.
Per Alëchin, campione mondiale russo naturalizzato francese, gli scacchi sono un’arte. Il suo predecessore di origini cubane, Capablanca, campione del mondo dal 1921 al 1927, sono pura tecnica. Emanuel Lasker, matematico tedesco detronizzato proprio dal cubano, riteneva che gli scacchi fossero una strenua lotta. Se si tratta di una lotta per vivere o lasciarsi morire allora è il caso della giovanissima Beth Harmon, protagonista della miniserie che spopola ora su Netflix: “The Queen’s Gambit”, tratta dall’omonimo romanzo di Walter Tevis. Negli Stati Uniti del boom economico e di guerra fredda con l’Unione Sovietica, patria dei più grandi ed imbattuti scacchisti mondiali, sfruttare un talento innato per gli scacchi può diventare l’occasione per svoltare. Le circostanze la vedono inizialmente sfavorita, come donna e come potenziale alcolizzata ma una determinazione fuori dalla norma e una sfrontatezza esorbitante la portano a scalare una graduatoria tutta maschile e maschilista: la giusta ricompensa per una vita che le ha riservato solo duri rospi da ingoiare.
Costretta in un orfanotrofio a 9 anni e imbottita di pillole per trascorrere più serenamente la notte, Beth si esercita su una scacchiera immaginaria proiettata sul soffitto, visto che non ne possiede una materiale. Le 64 Case bianconere non sono più solo il terreno di gioco per mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti dal custode ma dimore peculiari dove escogitare un piano per proseguire nel suo accidentato percorso esistenziale. La geniale giocatrice trae giovamento dal complesso meccanismo algoritmico della scacchiera, meccanismo paragonabile con le combinazioni che danno origine ai 64 Esagrammi dell’I Ching, il Libro dei Mutamenti, testo sacro plurimillenario nonché monumento del pensiero cinese.
Dopo trent’anni di studi C. G. Jung era giunto alla conclusione che ogni Esagramma è l’esponente del momento, un indicatore della situazione prevalente secondo il principio della sincronicità, diametralmente opposto al concetto di causalità, su cui è impostata la scienza occidentale. Ogni singola situazione sulla scacchiera così come ogni interpretazione oracolare degli steli manipolati secondo un certo rituale sono condizionate dalle necessità psicologiche di chi compie la mossa in quel preciso istante. Ma sono altrettanto sintonizzate con lo sviluppo strategico della partita (risulta che sono possibili un numero pari ad un 1 seguito da 1050 zeri di partite diverse) o con gli agenti spirituali che guidano i bastoncini di Achillea millefoglie (o il lancio delle monete) per fornire una risposta.
I demoni che perseguitano la protagonista si materializzano nel continuo e ossessivo conflitto del bianco contro il nero che come le due polarità energetiche opposte del simbolo del Tao si compenetrano a vicenda in un continuo mutamento perché in ogni metà è presente il potenziale del rispettivo opposto. Il principio fondamentale maschile è bianco, ovvero luce, sole, cielo, giorno, attività, fuoco: Yang, che si contrappone e contiene in sé una parte del nero, Yin, corrispondente alla luna, alla terra, al femminile, al freddo, alla passività, all’oscurità e al mistero. Gli archetipi correlati a questa dicotomia tra ordine e caos sono patrimonio comune di tutti gli individui e possono divenire strumenti per capire il cambiamento in atto. Scrutando i chiaro-scuri di questo momento storico ci si può permettere di guardare in faccia il futuro prevedendo con maggiori probabilità la sua prossima mossa.
Secondo Arthur Schopenhauer “nella vita le cose passano come nel giuoco degli scacchi; noi ci facciamo un piano: questo però rimane subordinato a quanto piacerà fare nella partita all’avversario, e nella vita al destino“.
Le sue origini risalgono alla notte dei tempi, la versione a noi più familiare vede la luce dell’alba nell’India nel VI secolo d.c. Il gioco si diffuse in Persia, in Arabia e successivamente in Occidente intorno al XI secolo. La simulazione di scontro tra due armate nemiche ha visto un’evoluzione dei vari eserciti, che nel tempo si sono dotati di alfieri piuttosto che di elefanti (in la lingua araba elefante si dice al-fi) o di cammelli piuttosto che di torri. La regina non esisteva all’inizio, fu introdotta successivamente e, assegnatole un potere di muoversi illimitato, divenne il pezzo più forte.
C’è un modo per vivere un vero arrock down muovendosi liberamente come una regina su una scacchiera online e cimentandosi in strategie da arrembaggio o da catenaccio in difesa contro avversari di tutto il mondo e a qualsiasi ora del giorno o della notte. Basta andare su Chess.com, una comunità di scacchi dove 30 milioni di iscritti passano anche molte ore online con gli amici, ad allenarsi contro un computer, a risolvere puzzle o ad assistere a lezioni e tornei in diretta di grandi campioni, imparando giorno per giorno a migliorarsi.