Ricordate la Demeter? È una pseudonaus, ovvero un’imbarcazione che non esiste se non in letteratura: nello specifico, all’interno del Dracula di Bram Stoker, dove si rivela il mezzo con cui l’omonimo Signore del Male trasloca dalle sperdute lande dei Carpazi alla vivace Londra. Come scrive il corrispondente del Daily Graf (e con diligenza incolla Mina Murray nel suo diario): 

«sono stato […] uno dei pochi a vedere il marinaio morto ancora legato alla ruota. Non c’è da meravigliarsi che il guardacoste fosse rimasto sorpreso, addirittura sgomento, perché non accade spesso di assistere a un simile spettacolo. L’uomo era legato soltanto per i polsi, incrociati e avvinti a un raggio del timone. Tra la mano che aderiva al legno e questo, un crocefisso, e il rosario dal quale era fermato, era avvolto a entrambi i polsi e all’impugnatura della ruota, il tutto bloccato dalle corde che legavano il cadavere». 

Chi scrive si riferisce all’unico membro dell’equipaggio ancora a bordo della nave incagliatasi sugli scogli di Whitby dopo «una delle più violente e improvvise tempeste di cui si abbia memoria», un’occorrenza rara:

«Il seguito dello strano arrivo del relitto durante la tempesta della notte scorsa è quasi più stupefacente ancora del fatto in sé. È risultato che la goletta è russa, di Varna, e si chiama “Demeter”. È quasi interamente zavorrata di sabbia argentifera, e reca a bordo solo un piccolissimo carico: un certo numero di grandi casse di legno riempite di terriccio.»

Il carico delle casse prende immediatamente altra strada grazie all’efficienza di un procuratore locale al soldo di Nosferatu e dei suoi (ospiti delle casse, ricorderete); la voce narrante pare tingersi d’ironia nel registrare quanta burocrazia si raduni ora attorno alla nave in sé. Preziose quanto vane, per le indagini, saranno non tanto le pagine del diario di bordo ufficiale quanto quelle rinvenute altrove, riporta il corrispondente:

«Per cortesia dell’ispettore della Camera di Commercio, ho avuto modo di esaminare il giornale di bordo del “Demeter”, regolarmente tenuto sino a tre giorni fa, ma che nulla contiene che sia di particolare interesse, eccezion fatta per quanto riguarda la scomparsa degli uomini d’equipaggio. Di ben maggiore interesse è invece il pezzo di carta trovato nella bottiglia, che oggi è stato esibito nel corso dell’inchiesta; e mai mi è capitato di imbattermi in eventi più singolari di quelli che risultano da esso e dal giornale di bordo.»

Testimoniano la progressiva perdita di lucidità dell’equipaggio, le pagine in bottiglia; e l’epica determinazione di un uomo, protagonista delle più classiche storie-nelle-storie. Il futuro cadavere, unico membro dell’equipaggio ancora a bordo nonché valente condottiero, scriveva così: 

«Meglio morire da uomo, perché morire da marinaio in alto mare è cosa sulla quale nessuno può trovare da obiettare. Ma io sono il capitano e non posso lasciare la nave. E tuttavia la farò in barba a quel demone o mostro che sia, perché mi legherò le mani alla ruota quando comincerò a sentirmi mancare le forze, e insieme con le mani legherò ciò che lui – quella cosa! – non osa toccare; e così, vento favorevole o contrario che sia, mi salverò l’anima e salverò il mio onore di capitano».

Che c’entra col gaming
che tanto ci ossessiona?

La risposta si nasconde in cinque parole: Return of the Obra Dinn, gioiello citazionista. È un prodotto ludonarrativo dello stesso autore del mai-abbastanza-lodato Papers Please (Gloria a Arstozka!, avete presente?): le atmosfere di quest’avventura grafica di fine 2018, sbarcata nel 2020 sulla Nintendo Switch, ricordano moltissimo quelle stokeriane. Certo, siamo dalle parti del rompicapo bicromo vintage (sblocchiamo un ricordo: la grafica 1-bit dei primi giochi Mac!) anziché dei più celebri classiconi di genere; eppure il chiaroscuro dei raggi lunari, unica fonte di luce a partire dai primi, iconici frame di gioco, eterna un’indagine altrettanto degna di letterarietà

È proprio vestendo i panni di un piccolo burocrate che chi gioca dovrà scoprire cosa sia accaduto al defunto equipaggio dell’Obra Dinn: per conto della Compagnia delle Indie Orientali, che aveva assicurato il vascello a inizio Ottocento e che l’aveva poi visto sparire dalle rotte di navigazione, al ritorno dell’imbarcazione e del suo carico di morte saremo chiamati a ricostruire i nomi, il ruolo e il fato di ognuno dei sessanta membri a bordo. 

Un punto di vista in rigorosa prima persona, l’utilizzo del diario di bordo come journal costantemente consultabile, l’espediente dei registri che si autocompilano e mappe da colmare via via costruiscono un’esperienza di gioco di rara intensità. Ma a fare la differenza è un fantastrumento, il curioso Memento Mortem: per ogni cadavere rinvenuto, è in grado di mettere in scena il conflitto e giocare con la linea del tempo e le nostre aspettative mentre, tra curiosità e terrore-da-freak-show, colmiamo le lacune tra ciò che sappiamo e ciò che dovremmo sapere. A cavallo tra i generi, naturalmente. E non è forse ciò che fa la letteratura, questo — o quantomeno ciò che, sempre più spesso, ci sorprendiamo a domandarle?

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