Fine di un ladro? Fine di un’era, anche. È maggio 2016: Naughty Dog, premiatissima software house californiana, giunta al quarto capitolo, pone fine alla saga videoludica di Nathan Drake, Uncharted, e si accomiata da un personaggio che ha omaggiato, rispecchiato, masticato e risputato qualsiasi Indiana Jones. E lo ha fatto ridendo.

È pure aprile 2020, a un certo punto. Quasi quattro anni dopo, grazie anche all’astuto Play-at-home, recuperiamo in massa Thief’s End in preda ai sensi di colpa. Non per il ritardo, no: per la sopravvivenza.
Il primo Corona(isola)mento ci cementa ai divani, costruendoci intorno bare fatte di cartoni di Amazon e traballanti postazioni audiovideo a misura di burnout. Tra noi c’è chi riscopre online gli Alcolisti Anonimi lungamente disertati e chi addomestica il terrore da terapia intensiva con la sistematica fuga tra i pixel. Siamo gli avvantaggiati della prima vera generazione woke. Siamo i forzati della polarizzazione, corretta o scorretta non rileva. Siamo i censori digitali della catastrofe analogica. Cosa cerchiamo nel joystick? Una lima e l’evasione, per didascalico che sia. 

Bros before… pirates, o qualcosa del genere (via).

C’è chi prende residenza stabile tra i lotti e le palme di Tom Nook, mauvais sauvage  nonché smaliziato palazzinaro della landa di Animal Crossing. Cerchiamo invano di amicarci creature zoomorfe dalle curiose abitudini gentrifican-borghesi; ricomponiamo schegge di fantasma, recuperiamo pacchi-dono con le fionde e — garantito — dopo aver giocato ci sentiamo meno isolati di prima. New Horizons, che sancisce il ritorno in grande stile del franchise, viene impiegato dagli attivisti hongkonghesi per portare slogan, murales di protesta, bandiere rivoluzionarie o ritratti di Xi Jinping, segretario generale del PC cinese, nelle piazze virtuali e interconnesse. Quando il gioco viene rimosso da tutti i negozi online cinesi è già tardi. Quando spegniamo la Switch è tardi, già.

Il diabolico Tom Nook, a.k.a. Come Imparare A Non Fidarsi Delle Pucciose Apparenze (via).

C’è chi diventa porter, ovvero corriere, senza sindacati o cont(r)atto col reale né senso del contrappasso: i pacchi che consegna connettono le UCA, ovvero United Cities of America, nel Death Stranding che sancirà il divorzio definitivo tra gli hardcore gamer e Hideo Kojima. È il primo titolo cui Kojima — anello di congiunzione tra il Miyamoto di Super Mario e, beh, Alfred Hitchcock — si dedica dopo la scissione dalla Konami che lo strangolava. Il gioco esplode a Natale 2019 ma, di nuovo, solo nella primavera 2020 vede coronato il proprio epos da lockdown. Ci muove per chilometri con gli occhi soltanto. E ci consente di farlo senza incontrare anima viva — letteralmente. Con tutto quel che ne consegue.

Spiaggiati, ovvero stranded, ma anche interconnessi (via).

Cos’hanno in comune le fughe citate qui sopra? Fanno quel che per molto tempo è stato ritenuto esclusivo appannaggio della letteratura o del grande cinema. Abitano e informano, formano e riformano generi diversi — dalla commedia di rimatrimonio al buddy movie fraterno e bucaniero, dal new weird contemporaneo al farming di buone intenzioni. Danno cittadinanza virtuale, e quindi più che mai reale, ai nuovi esuli privilegiati, e aumentano lo scollamento tra la bolla del consenso e l’asse di oppressione. Oppure lo ridisegnano, come avremo modo di raccontarci ancora e ancora.

È che «se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, “creature di sangue caldo e nervi”, come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita», scriveva Carver nella citatissima prefazione di Da dove sto chiamando. Ed è lui che lasciamo risponda alle domande sottese al Cybertext di Espen Aarseth: possono davvero assediare la grande letteratura, i videogiochi? I generi narrativi, in continua evoluzione ed espansione ultra analogica — tra letteratura ergodica e interactive storytelling design —, stanno per caso bombardandoci d’indizi del fatto che la narrazione tradizionale e le sue pepite di romanzo-film-serialità sono destinate a lasciare il passo a qualcos’altro? 

Narrazione ergodica = faticosa da conquistare. Ci sono fatiche peggiori, però (via).

In breve: sì. Nel medio periodo: ce lo raccontiamo qua sopra, se vi va. Anche oggi, adulti domani. Giocando giocando, s’intende: ché tutti i bambini crescono, tranne due. O più di due, se entrate in squadra. Welcome.

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