“L’uomo è la natura che diventa cosciente di se stessa”, Elisée Reclus (1905).
Dopo avere divorato le 182 pagine del libro Geoetica, Manifesto per un’etica della responsabilità verso la Terra (Donzelli editore), compresa l’illuminante prefazione dell’autorevole filosofo della scienza Telmo Pievani, non ho chiuso il libro, come generalmente si fa, ma sentito l’esigenza di ritrovare alcuni passi in grado di aiutarmi a trovare, nello sconforto di una visione a tratti quasi apocalittica, le interconnessioni che rendono l’individuo parte di un sistema complesso chiamato terra, il cui significato etimologico più probante è dimora. A pag 132 mi sono fermata, e ho riletto a voce alta un passo che mi ha colpito particolarmente, per il carattere divulgativo, quasi poetico nella sua sovrapposizione iconica alla parola, denso di pathos, veicolo di visione etica insieme coinvolgente e rigorosa:

Sono tre le immagini iconiche degli anni più recenti: la curva di incremento della CO2, l’orso polare alla deriva su un blocco di ghiaccio e il viso di Greta Thunberg, attivista ambientale svedese”.

L’interconnessione tra le tre immagini è chiara: l’aumento dei gas serra, la minaccia per tutte le specie viventi costituita dal riscaldamento globale in atto e il danno perpetrato a discapito delle generazioni future sono fattori interconnessi che ci ammoniscono, ricordandoci che solo con azioni comuni, consapevoli e condivise, si possono affrontare minacce globali.

La geoetica impone un passaggio
da una posizione egologica
a una prospettiva ecologica

Ma non basta; e i due autori, Silvia Peppoloni e Giuseppe Di Capua, di cui avevo già apprezzato vigore etico e rigore scientifico nel testo corale Il corpo della terra. La relazione negata, ce lo dimostrano, accogliendo in pieno il paradigma per il quale è necessario oggi passare da una visione egologica ad una visione ecologica grazie a cui ridefinire obiettivi e priorità vitali e continuare ad esistere come parte del sistema interagente di cui siamo parte, la terra. La visione ambientale diventa visione etica, foriera di sviluppo morale e agire ecologico, partendo dall’assunto che un sostrato condiviso di valori non può prescindere da comportamenti individuali consapevoli supportati da conoscenze scientifiche volte ad una crescita equilibrata, comportamenti da attivare non solo in caso di emergenze ambientali, ma piuttosto sempre volti a rispettare il pianeta che abitiamo, ormai fortemente antropizzato, con la salvaguardia dei suoi processi e la prevenzione dei disastri naturali, spesso provocati dall’azione incurante dell’uomo. In questa prospettiva, le conoscenze scientifiche a supporto delle decisioni economiche e politiche, che auspichiamo siano prudenti ed eticamente lungimiranti, devono essere nodo non solo concettuale ma proattivo, a tutela dell’ecosistema di cui facciamo parte. Tutela che non può fare a meno di pensare alla terra come ad un luogo dove l’equiparazione tra esseri viventi, la salvaguardia di flora e fauna, delle nostre generazioni future, delle donne e con loro di tutte le fasce di popolazione fragili dei continenti poveri e sfruttati, siano conditio sine qua non in grado di rendere possibile la vita del pianeta, nel segno del rispetto della madre terra che ci accoglie: valore morale che non può che essere condiviso, nonostante l’imperante speculazione priva di consapevolezza e visione etica di buona parte della politica economica globale contemporanea.

L’azione politica di fatto oggi pare si sostanzi ancora nel lasciare l’individuo dentro una bolla di disinformazione social, dove galleggiano fake news ed egoismo, e la scienza diventa abito lacerato da interessi privati di pochi piuttosto che supporto a decisioni volte al benessere della nostra dimora, a dispetto del bene comune dei tanti che pur facendone parte, di fatto restano fuori dai processi decisionali di cui non hanno coscienza né conoscenza, come l’attuale pandemia da Sar COV 2 ci insegna.

In questo scenario, la geoetica, i cui prodromi sono già presenti in parte del pensiero scientifico del XIX secolo, è un manifesto etico-scientifico di responsabilità della terra: è necessario che gli scienziati, per primi, grazie alla consapevolezza della conoscenza, non restino schiacciati dagli interessi politico-economici globali, ma forniscano il supporto prudente per conciliare gli stessi con la salvaguardia e la prevenzione dell’ambiente in cui viviamo, che esito a dire nostro perché, dovremmo ricordarlo sempre, non è proprietà del genere umano.

Un umanesimo ecologico ed inclusivo
è l’unica strada

Oggi è più che mai chiaro, infatti, che anche le scelte politiche più delicate si devono affidare agli strumenti sempre più avanzati ed efficaci della scienza (con la dovuta attenzione, perché talora rischiano di essere invasivi, vedi alcune soluzioni in tal senso prospettate dalla geoingegneria) per trovare soluzioni agli attuali problemi ecologici globali, mirati ad una nuova visione/azione politica che tenga in prioritaria considerazione i 17 obiettivi per una crescita sostenibile di Agenda 2030.  La gestione etica del sapere oggi in modo particolare è un patrimonio prezioso, da curare e governare tenendo fede ad alcuni principi e doveri imprescindibili, poiché fondamento delle nostra stessa esistenza. L’unica strada percorribile per la nostra sopravvivenza è infatti un umanesimo ecologico inclusivo, equiparativo, cooperativo, conservativo ed insieme evolutivo, adattivo e non invasivo, creativo e rigoroso insieme, resiliente e consapevole: solo se questi valori diventeranno davvero non solo patrimonio individuale e collettivo insieme, ma anche lungimirante azione comune, allora il genere umano potrà ascoltare, in un futuro non lontano, più che la rabbia accorata, il perdono pacificato delle tante Grete di Fridays For Future a cui lasceremo questo mondo da accudire, proteggere e salvaguardare.

Lettura raccomandata.

Condividi: