Would it be absurd to
say that strength (the one I
work so much on acquiring) is
the competence of the heart
Louise Bourgeois, loose sheet, c. 1955

Correva l’anno 2007, il ponte era sferzato dalla pioggia, faceva quel freddo semi-sopportabile che trovi solo a Londra, camminavo come tutti con la testa incassata nelle spalle, a passi svelti, rigorosamente senza ombrello. L’ingresso della Tate era là, oltre il ponte, in Bankside, dopo una piazzetta. Entrai. E quando entri alla Tate l’aria si fa rarefatta, i rumori giungono ovattati, sembra quasi di fare ingresso in un sogno, per l’enormità dell’ambiente, per la tanta gente che pare però poca cosa in quello spazio della ex centrale elettrica che ancora porta impressa nelle pietre la sua passata esistenza.

La vidi subito. Zampe enormi, inquietanti. La Maman. Una specie di rete piena di uova gigantesche, le lunghe zampe arcuate poggiate minacciose a terra. Bambini che si rincorrevano tra quelle zampe, tantissime persone tutt’intorno con il naso all’insù, un uomo con un binocolo al collo e gli occhiali spessi piantato lì davanti a bocca aperta. Ricordo ancora tutto come fosse ieri, come fossi lì. Sento persino gli odori.

Era la prima volta che incontravo Maman. Volevo scappare, avevo una specie di conato, una repulsione respinta dalla testa, dal ragionamento, dall’esperienza. A me i ragni non fanno paura, non soffro di nessuna forma di aracnofobia. Eppure quell’enorme ragnone femmina, così simile ad alieni visti nei film, mi metteva inquietudine. Ero venuta apposta, certo. Ma adesso non riuscivo a muovermi. Mi avvicinai, se ci si può mai avvicinare a una cosa del genere. Ripensai alle parole di Louise Bourgeois:  «Il ragno è un’ode a mia madre. Lei era la mia migliore amica. Come un ragno, mia madre era una tessitrice. La mia famiglia era nel settore del restauro di arazzi e mia madre si occupava del laboratorio. Come i ragni, mia madre era molto brava. I ragni sono presenze amichevoli che mangiano le zanzare. Sappiamo che le zanzare diffondono malattie e per questo sono indesiderate. Così, i ragni sono protettivi e pronti, proprio come mia madre».

Ci ripensavo stando immobile là davanti – dovevo tanto somigliare all’uomo con il binocolo al collo e gli occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia – e cercavo di immaginare questa madre. Doveva essere l’opposto della mia, pensavo, per suscitare nella figlia una tale gigantesca proiezione. Ferma là sotto, insieme all’uomo dal binocolo e a due ragazzi che nel frattempo si erano quasi appoggiati a una zampa per baciarsi, e a tutti gli altri con il naso all’insù, mi sentii d’un tratto quasi serena. Non temo più di essere presa per pazza e perciò lo dico: anche protetta. Come se la proiezione su larga scala della vis creativa di Bourgeois fosse in grado di trasmettermi anche fisicamente il suo messaggio. Una enorme Maman incombeva su di me, che di Maman non ne avevo visto l’ombra se si esclude quella signora che pensava di essere mia figlia di cui mi sono occupata fino alla morte, e sì, è vero, mi sentivo protetta. Mi veniva quasi da piangere. Come ci era riuscita con un animale tanto ripugnante, ancora di più a vederlo enorme?

Louise Bourgeois amava Blaise Pascal, e una mostra a lei dedicata online alla Hauser & Wirth fino al 31 marzo 2021, che espone sculture e disegni dal 1949 al 2009, ha mutuato il titolo The Heart Has Its Reasons  proprio da una famosissima frase di Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni di cui la ragione non sa nulla». La mostra si tiene in contemporanea con Louise Bourgeois. To Unravel a Torment che è in corso al Serralves Museum di Porto in Portogallo, dal 3 dicembre al 27 giugno 2021, con opere dal 1040 al 2010, la più grande e importante mai tenuta in Portogallo.

La frase sul cuore di Pascal mi torna in mente adesso ripensando a quel momento sotto Maman di tanti anni fa. Era il mio cuore a parlare e a connettersi con il messaggio e la poetica spesso sconcertante di questa grande artista, dall’aria sempre birichina. La rividi – o, meglio, rividi le sue opere – anche a New York. E l’avevo vista l’anno precedente a Vienna, dove andai con una mia amica, con cui condivido da decenni la passione per l’artista francese: era il 2006, Louise era ancora viva, e noi accarezzavamo il progetto di portarla in Italia. In un’altra occasione quasi organizzavamo un viaggio per andare a intervistarla. Poi la vita va come va, e non se ne fece niente. Adesso, memori forse di quell’occasione persa, cerchiamo di non lasciarci sfuggire più niente.

Anche a Vienna c’era un ragno, enorme, con zampe lunghe e inquietanti, il ventre ricolmo di uova. C’erano disegni geometrici intrecciati sulla stoffa, come tante coloratissime ragnatele. Mammelle scolpite nel marmo rosa. Mani intrecciate a due, a quattro, sembrano cercarsi, accarezzarsi: si stringono, si vogliono. E poi fogli, fogli a decine con parole che si inseguono (seamstress, mistress, distress, stress) e disegni ossessivi, geometrici, realizzati per lo più di notte, durante le ore dell’insonnia. Per un totale di 150 opere, tutte realizzate tra 1996 e 2006. Nel 2007 ci fu poi la mostra alla Tate: lei ormai non si muoveva più e chi voleva incontrarla doveva andare per mostre. Non concedeva più interviste, usciva di rado, ma due volte a settimana continuava a incontrare i suoi ragazzi e a discutere di arte con loro. Louise Bourgeois era letteralmente adorata dai giovani; troppo avanti e troppo dissacrante, oltretutto femmina, per essere apprezzata prima degli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso, scoperta e studiata, non a caso, da due donne: Deborah Wye, allora giovane curatrice, e Lucy Lippard, critica d’arte, che riuscirono a interessare il Museum of Modern Art di New York e a organizzare una retrospettiva.

Da allora la sua fama crebbe, tanto che nel 1993, a 81 anni, rappresentò gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia e nel 1992 il Musèe d’Art Moderne di Parigi le ha dedicato una retrospettiva; della qual cosa la Bourgeois con la sua consueta ironia disse: “La mia fortuna è stata di essere diventata famosa così tardi: la fama non ha potuto distruggermi”.

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