Qui c’è tutto quello che conta. Ecco cosa ribadisce Here dall’inizio alla fine. Ma cos’è questo “qui” di cui si parla? Con cosa abbiamo a che fare? In realtà con un qualcosa di estremamente comune, ossia lo spazio domestico inteso per lo più come il luogo in cui una famiglia cresce e si evolve, si riunisce e, a volte, si disgrega. Spesso rifugio, a volte gabbia, la casa è, innanzitutto, un caleidoscopio di storie e Robert Zemeckis, regista del film, nel raccontarle non si è limitato ma, al contrario, ha raccolto più di qualche spunto.

Di cosa parla “Here” di Zemeckis

Con un’inquadratura fissa che prova a tener fermo ciò che è sfuggevole per natura, ossia il tempo, il noto regista di Forrest Gump, ci restituisce un esperimento cinematografico che, pur essendo così originale nella resa stilistica, riesce a non farsi ingabbiare solo dalla forma estetica ma a toccare molto da vicino chi lo guarda, in alcuni casi addirittura a commuovere. Al centro della storia c’è una famiglia di cui, anno dopo anno, conosciamo eventi e malumori ma, a ben guardare, procedendo per frame e cornici è facile teletrasportarsi e viaggiare attraverso i secoli.

Così lì dove c’era Tom Hanks bambino, poi uomo e, infine, vecchio ritroviamo anche i nativi americani, il figlio illegittimo di Benjamin Franklin, una coppia colma di speranze agli inizi degli anni ’20. Senza procedere in modo lineare Zemeckis ci trascina avanti e indietro, soffermandosi soprattutto sul Novecento e sul modo in cui l’America da generatrice di sogni sia diventata patria di disillusi. Il salotto, fulcro portante della narrazione, diventa così, a seconda dei casi e degli accadimenti, camera da letto, sala parto, ritrovo per le feste, ricovero per anziani, altare per le nozze. Punto nevralgico per la celebrazione di riti e lo svolgersi quotidiano della vita.  

Cos’ha in comune con “Forrest Gump”

A unire l’ultima prova alla regia di Robert Zemeckis e una tra le sue pellicole più celebri non è soltanto una certa idea di fondo sullo scorrere del tempo e i fili invisibili che uniscono le persone ma la presenza stessa di alcune figure chiave dell’uno e dell’altro film. Lampante nel caso di Tom Hanks e Robin Wright, la famosa Jenny che qui diventa Margaret, ma anche per la scelta di Eric Roth alla sceneggiatura, di Don Burgess alla fotografia e di Alan Silvestri alla colonna sonora.

Certo, proprio perché gli anni passano non può rimanere sempre tutto uguale e qui si inserisce il progresso tecnologico, come l’aver usato in Here l’intelligenza artificiale per alterare digitalmente l’età agendo in particolar modo sui volti e sui movimenti facciali. Un effetto che, forse, si nota troppo ma che non per questo disturba la visione di un film che, secondo la personale visione di chi scrive, merita decisamente il prezzo del biglietto.

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