Uscito il 24 novembre nei cinema di tutta Italia distribuito da Officine UBU, La California è un film candidabilissimo a diventare un cult dell’oggi, nonostante l’ambientazione vintage. Un po’ perchè adesso gli anni ’80 e ’90 sono di gran moda, un po’ perchè, come in Inside out (la similitudine è folle, lo so), sono nominate tutte le emozioni umane, un po’ perchè la regista bolognese, Cinzia Bomoll, anche in questo lavoro frantuma schemi e paradigmi e, davvero è il caso di dirlo, ciò che è brutto diventa bello, ciò che è vecchio diventa attuale, ciò che è minoritario e marginale diventa protagonista in modo sorprendente.

Un pastiche in grande stile che parla di amore, di politica, di violenza contro le donne e tra le donne, di morte e di vita, di delusioni e di speranze, di lotta e resistenza, di potere, quello più becero e arrogante. Ma partiamo dal principio: siamo nella California, luogo reale in provincia di Modena, una periferia desolata dove apparentemente non accade mai nulla ma in realtà c’è questo film, in parte thriller, che dice l’opposto.

Il tempo sembra immobile, chiuso e circolare in quella che ancora oggi è la zona rossa dell’Italia, dove il socialismo (anche di stampo sovietico) anima tutto, i rapporti personali, i banchetti, il sesso, le amicizie. La fotografia (che a volte sovrasta la regia per l’incredibile carisma) la racconta bene, questa staticità.

Eppure, mentre la madre, inebetita da un parto gemellare, passa la vita alla televisione facendo tortellini per il partito (“i passatelli sono capitalisti”!), scoppia la bomba a Bologna, crolla il muro di Berlino, si compie la Svolta della Bolognina (in sala, alla prima romana, c’era anche Achille Occhetto, il responsabile), arriva Berlusconi.

Intervista esclusiva di Eugenia Romanelli a Cinzia Bomoll

Un cast stellare e decisamente inedito, a cominciare dallo stra-or-di-na-rio Lodo Guenzi, protagonista del film (padre delle gemelle), al suo secondo ruolo di attore. Divina la voce narrante di Piera Degli Esposti, l’ultima registrazione ufficiale prima della sua morte, che ha scritto la sceneggiatura, insieme a Bomoll e a Christian Poli, “dopo essersi letteralmente innamorata della storia“, come ha raccontato Bomoll al Cinema Adriano, durante la prima del film a Roma.

Coloratissima la parte di Nina Zilli, anche lei, come Guenzi, artista poliedrica prestata dalla musica. E come anche Angela Baraldi e Andrea Mingardi. Bravissimo e commovente il personaggio di Andrea Roncato, amico del grande Alfredo Castro, attore reso celebre dal cinema di Pablo Larraìn (la produzione del film è in collaborazione col Cile).

Vera rivelazione, invece, le due attrici gemelle, oltre che bellissime, protagoniste del film: “Non tutti hanno il coraggio di prendersi la responsabilità – hanno dichiarato all’Adriano Silvia e Giulia Provvedi – di puntare su talenti emergenti affidando il ruolo più importante: Bomoll lo ha fatto e noi abbiamo lavorato al massimo“.

Cinzia Bomoll sul set

Personalmente, dovrei consultare la mia terapeuta per capire quale nervo il film ha toccato: sono uscita in singhiozzi, nonostante il finale pieno di speranza. Forse, semplicemente, mi ha commossa la potenza della storia, con quel testimone, che passa di nonna in madre in nipote (rappresentato dalle gravidanze con cui il film apre e chiude con una simmetria perfetta) per dire che occorre continuare a lottare in nome della giustizia sociale, dell’equità, dei diritti di tutti e tutte, dell’ambiente, del contrasto al sessismo e al patriarcato.

Ho visto molto coinvolti anche Barbara Alberti e Alessandro Boni, entrambi presenti in sala, forse perchè questi 100 minuti, alla fine, parlano semplicemente di amore, in tutte le sue forme e declinazioni, nella sua complessa ambivalenza e contraddizione, capace di tenere insieme la morte e la vita, e dare loro un ciclo che rende sensato partecipare.

Condividi: