La realtà dei social network è terribilmente controversa. I lati positivi sono molti, come la possibilità apparente di avere a portata di click una svariata quantità di informazioni, di realtà, di contatti, che comportano continui stimoli e ispirazioni. Contemporaneamente, i lati negativi sono tantissimi, superiori sia in quantità che in intensità a quelli positivi, proprio perché la vicinanza a tutto ciò che passa sullo schermo è, come ho detto prima, apparente. Le informazioni che ci bombardano di continuo lasciano poi impronte parziali e sbiadite nelle nostre coscienze e, a fine giornata, saranno poche le cose che ci saranno veramente rimaste impresse. L’impossibilità di gestire il fiume in piena mediatico che scorre sotto ai nostri pollici ci lascia alla fine svuotati, a causa del poco spazio decisionale che ci è concesso. Devo dire però, che tra tutte le caratteristiche della rete social ne esiste una che, personalmente, ho trovato essere una grande fonte di arricchimento. Proprio in virtù della natura del social, che come un catalogo in corsa propone senza spiegare, ciò che si salva dalla parzialità informativa è quella branca del reale che di spiegazioni e concettualizzazioni se ne fa ben poco: l’arte.

L’arte per antonomasia fugge ogni concettualizzazione, tanto più l’arte dell’ultimo secolo, dal teatro alle arti pittoriche alla musica… soprattutto la musica. Questa riflessione è sorta in me quasi spontaneamente qualche mattina fa, nell’incappare, su Instagram, in un post sponsorizzato dalla piattaforma, che mi proponeva l’ascolto di un certo Herr Lang. Vedo l’inserzione e, per pura casualità, dato che tendenzialmente le ignoro, ascolto la traccia proposta e mi perdo, nel senso più positivo del termine. La reazione seguente è stata di diffidenza, proprio perché a suggerirmi l’ascolto di questo artista era stato quel mostro che vive nell’anonimato e che tramite i suoi algoritmi sa perfettamente come manipolare la mia attenzione. Una volta superata questa opposizione di principio, clicco sul profilo dell’artista, inizio a sentire qualche altra traccia, lo cerco sul web, ma trovo poche informazioni, lo cerco su Spotify e inizio ad ubriacarmi delle sue creazioni techno minimali.

Selfportrait by Herr Lang

Herr Lang è un artista di Amburgo, che ha scelto l’anonimato, non si mostra e non si rivela, se non tramite le sue produzioni musicali e quelle pittoriche. Oltre a produrre pezzi techno davvero degni di nota, l’artista tedesco disegna la realtà, la sua realtà, come è filtrata dal suo genio o forse come vorrebbe che fosse. Tra le poche informazioni che ho trovato sul produttore, mi ha colpito la dichiarazione di poetica riguardo le sue intenzioni artistiche e ne sono rimasta piacevolmente colpita, anche perché ho trovato una forte coerenza di fondo con le sue produzioni musicali e visive: “His music and paintings are representative for the ordinary man and his being. His works should make you happy or give you some hope to be alive”.

Herr Lang è caratterizzato da una grande maturità compositiva, nonostante abbia sempre suonato la chitarra e sia entrato nel mondo della produzione musicale elettronica da soli quattro anni. In un breve scambio di messaggi che abbiamo avuto, mi ha svelato cosa più gli piace della realtà della produzione, a differenza di quella della riproduzione, dicendomi: “…I can make music everyday, everywhere and start working on the same projects on different days without loosing the idea of feeling of a song. It is like storing a feeling you had in that moment“. Mi è piaciuto tantissimo il concetto di poter spingere sul tasto ‘salva per dopo’ e mettere in una cartella da riaprire più tardi la sensazione che evoca l’idea di una traccia che ancora non esiste. Forse solo la realtà computerizzata della musica elettronica lo permette a pieno.

Power of Now by Herr Lang

Era tanto che non mi sentivo così intimamente coinvolta da una traccia nuova, ascoltata per la prima volta, e sono contenta di poter affermare che, per ogni prima volta con le produzioni di Herr Lang, questa è stata la sensazione. La prima che ho ascoltato è Unterwegs, che è un lento crescere di bassi che sfocia, senza esplodere, in una ritmicità sempre più pesante e, a metà, muta su sonorità che ricordano quelle di una tromba sintetizzata. Dello stesso album, Davon, è anche From The Beginning, che è più leggera e comunque profondissima. All I Have, tratta dall’omonimo EP, ha un beat molto veloce e inizia con dei bassi potentissimi, in un crescendo continuo, e resta comunque introiettante. Ecco, direi proprio che la parola d’ordine nelle produzioni di Herr Lang è scavare. Tutte le tracce, dal primo singolo Zeit fϋr Sommer passando per l’EP Traum fino ad arrivare all’ultimo album, scavano dentro l’interiorità dell’ascoltatore, incitano ad una sorta di meditazione liquida, almeno questa è stata la mia sensazione: ero come trasportata in un fiume di cose, pensieri, figure e colori accesi dentro la mia testa, non ferma, ma in movimento fluido. Consiglio a chiunque abbia una certa propensione per la minimal techno e a chi abbia necessità o desiderio di scavare un po’ la propria persona interiore, di farsi un giro tra le produzioni di Herr Lang.

All I Have by Herr Lang

Per quanto mi scocci un po’ ammetterlo, devo ringraziare gli algoritmi di Instagram stavolta, che nella loro manipolazione e nel loro spionaggio sono riusciti a farmi un gran regalo. Resterò diffidente nei confronti di quel fiume mediatico ma allo stesso tempo tenderò le antennine nella speranza di acchiappare una qualche altra perla artistica, come questo barbuto (unica caratteristica fisica che posso dedurre dai suoi disegni) e sensibile produttore tedesco, ormai immancabile nei miei episodi di ricerca introspettiva.

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