E’ da qualche giorno che la mia occupazione mentale principale, dallo stop del celeberrimo rave a Modena in poi, è stata quella di dare risposte da esperto (o presunto tale) ai miei troppo preoccupati coetanei.

Sono un autore, un blogger, un mezzo giornalista, un nottambulo doc, sono pure stato a qualche rave (ok, a fare tappezzeria, ma c’ero), per cui non posso non parlarne.

Intanto c’è la mia tristezza. L’Italia, per molti, a mio parere per troppi, sembra assediata dai rave anche se non è così. I rave hanno contro un po’ tutti.

Che i conservatori siano del tutto contro questi party (perché rave sta per rave party, mica per roba da terroristi) era ovvio. Ma tra i progressisti, tranne la splendida Fiorella Mannoia e l’altrettanto splendida Bianca Balti (che ha dichiarato sul suo profilo Instagram “con tutti i rave a cui sono stata sarei ancora dentro con l’ergastolo”), quasi nessun artista si è fatto sentire, e questa per me è stata una delusione.

Avete ragione, sono proprio scemo. Come potevo aspettarmi una reazione diversa dai protagonisti dello show biz in un’epoca molto politically correct come questa non lo so. Sono ormai un uomo d’altri tempi. Certe vivacità delle sotto culture anni ’80 e ’90 oggi sono solo ricordi o sogni.

Non mi aiutano a ragionare i miei amatissimi discotecari: chi gestisce un locale notturno paga fior di tasse, deve sottostare a mille regole e regolette, spesso viene pure additato al pubblico ludibrio perché, si sa, “chi lavora di notte evade e/o vende alcolici e/o droga ai nostri ragazzi“. Era inverosimile sentirne qualcuno al mio fianco nel non sparare contro i rave. Eppure me l’aspettavo.

Eppure quella dei rave è una controcultura su cui vale la pena soffermarsi, come fa il giornalista musicale Tobia D’Onofrio con il suo libro Rave new world. L’ultima controcultura (editore Agenzia X) che vi consiglio di leggere perché propone le testimonianze degli studiosi e dei protagonisti a livello internazionale, offrendo al lettore un’inedita panoramica storica che include le numerose idee realizzate, i punti critici e le possibili prospettive dell’ultima delle controculture.

Sia chiaro, io in gioventù, mi sono sempre divertito poco. Troppa moderazione. Purtroppo. A Firenze avevo la compagnia sbagliata. Quando mi sono trasferito a Torino un mio amico si divertiva davvero, anche con certi additivi. Per questo, il mio rapporto con sostanze più o meno proibite in quel periodo era quello che Nanni Moretti ha raccontato in quel bellissimo film: “mi si nota di più se non vengo alla festa… oppure se vengo, mi metto vicino alla finestra e dico robe tipo, no, non mi va ballate voi”.

Non ho mai fumato, né sigarette né altro, soprattutto per questo. Perché fumavano tutti. E io, semplicemente, volevo fare il figo. Poi sono cresciuto, sono capitate diverse occasioni per provare tutto ma non ho mai avuto voglia di farlo. Mi permetto comunque di trovare ipocriti i molti che si bevono 3 – 4 cocktail a sera, con gli amici e poi sputano sui rave. Certo i cocktail sono permessi e altre sostanze no, ma lo sballo resta.

Parlo di sostanze proibite, perché ad un rave party certe cose ci sono ed è cretino non dirlo. E’ vero, ci sono le droghe anche in parlamento o altrove, ma ad un rave party la densità è un filo maggiore. Succede perché una volta che vai ad un party illegale, è molto più facile fare un’altra cosa più o meno illegale.

In realtà, come Corrado Formigli ha ricordato su La7 recentemente, drogarsi mica è un reato. Solo spacciare droga lo è. Ma ci siamo capiti: un rave è deviante rispetto alla buona società ed è illegale. Per questo anche il recente evento a Modena, senza nuove leggi più dure, è stato subito fermato.

Questo rave, che arriva subito dopo le mille regole, spesso insensate, vissute per colpa del Covid, mi ha fatto pensare a cosa sia legale e cosa sia invece giusto. A volte il concetto non coincide.

Si è detto, ad esempio, che il rave party ha lasciato l’area sporca e che la cosa è intollerabile. Evidentemente il concetto di tolleranza nei confronti di chi sporca è diversa per i giardinetti di fronte a casa mia. Sono piccoli e molto frequentati, perché accanto a casa mia c’è una scuola elementare. Nonostante gli sforzi degli addetti alle pulizie, il sottoscritto un paio di volte la settimana raccoglie di tutto. Ovviamente non mancano deiezioni canine, con un’area cani a 100 metri. Che dire? Ne prendo atto. Bimbi e cani in effetti sui social funzionano molto, logicamente hanno qualche libertà in più rispetto ai maledetti raver.

Ora, dopo tutte queste chiacchiere, probabilmente inutili, ci vorrebbe un finale forte. Qualcosa di intelligente e culturalmente elevato. Qualcosa che non intristica troppo chi ama un po’, come me, i rave e non faccia arrabbiare troppo i fieri oppositori dei rave. Ovviamente, visto che non sono geniale come Ennio Flaiano, mica mi viene in mente niente.

A bassa, bassissima voce, scrivo solo che il rave di Modena mi ha fatto venire in mente Bansky, che spesso fa happening o opere d’arte illegali che fanno pensare alle contraddizioni della società consumistica occidentale. Che molti, nella vecchia Italia di oggi, queste contraddizioni non le vedano neppure, mi sembra più divertente che tragico.

Proprio in questo momento, mentre io scrivo e voi leggete, da qualche parte, qualche gruppo di ragazzi starà facendo qualcosa di dannatamente divertente e musicale. Ok, è pure un po’ illegale, però non è un rave, per cui non ne parliamo. Ma quelle cose lì si facevano, si fanno e si faranno. E sono probabilmente meglio che passare la giornata guardando il telefonino a commentare la polemica del giorno. E, come dice Tobia D’Onofrio, “quello dei rave è un movimento spontaneo che è impossibile pensare di fermare”.

Quest’ultimissimo pensiero mi ha messo di buon umore. Non sarà che Rewriters fa miracoli? Non diciamolo a voce alta, però. Forse la cosa non è legale.

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