Nel mio Sud, magico e maledetto, ci sono tante credenze. Da bambino se sentivo un brivido che mi faceva tremare la poca pelle e le sottili ossa che avevo, mamma Concetta mi diceva “non è niente, è passata la morte”. Quel sussulto, quella vertigine, quel senso di perdita di sensi aveva un senso pagano e allo stesso tempo sacro – era la morte che ci attraversava il corpo e decideva di andare oltre a cercare altre anime da portarsi via.

Il brivido durava millesimi di un secondo, la morte passava di fretta. Ed io me la immaginavo la morte, aveva la fisicità di Carmelo Bene (che avevo visto in televisione) con il cappello ed il velo nel Lorenzaccio. Quella stessa sensazione l’ho vissuta ascoltando Rush! dei Måneskin, il nuovo album di inediti.

Del legame fra i Måneskin e Carmelo ne avevo già scritto un anno fa in una difesa pubblica sul quotidiano Domani conquistandomi le ire degli haters. Ed ora sono su Rewriters a difendere ancora una volta la riscrittura della loro rivoluzione.

Rush! è quella fretta millesimale che riesce a fermare il tempo ed a far rivivere altre vite, tornare bambino e sentire quel tremore, quello sgomento ma anche quella felicità nel sapere che la morte, come le sconfitte, ci hanno solo attraversato ed abbiamo ancora un’occasione di vita.

E quella consapevolezza che ci infiamma e ci rimette in sella pronti ad andare sulla strada del mondo, attraversando la vita, facendoci noi stessi fretta e clessidra da capovolgere a tutti i costi, per trovare un senso o semplicemente per perderlo, restando vivi in quell’eterna e dolce illusione chiamata giovinezza. 

La copertina dell’album Rush!

Diciassette canzoni – fra tutte Il dono della vita è quella che più mi commuove per tante ragioni. La musica mi ricorda i Litfiba più ispirati fra 17 Re e Spirito, la lirica è degna del romanticismo sofferto e dark di Robert Smith con alcune vette mitologiche alla Leonard Cohen:

“adesso guarda mentre volo in alto / E tocco il sole ma non cado mica io / Respiro aria pulita che alimenta / Il fuoco dentro di me / E lascio che mi uccida /
Io rinasco dalla mia cenere”.

The Loneliest potrebbe essere una pagina inedita del poeta John Keats ritrovata in una notte di tempesta autunnale ai piedi dell’angelo monumentale di William Wetmore Story nel cimitero Acattolico di Roma, e la sua musica un melodramma rock che ci riporta alle atmosfere di Dreamer di Ozzy Osbourne.

In Timezone c’è tutta la lezione musicale dei Red Hot Chili Peppers e al di là della storia della sofferta assenza di un amore lontano basta la rivelazione “So fuck what I’m dreaming, this fame has no meaning … I’m coming home” – per cogliere la purezza di un amore incosciente giovanile.

Baby said ha l’erotica di una lingua di lama dell’Alice Cooper di Bed of Nails. Il diabolico fantasma del Nick Cave di Do you love me? aleggia in Gasoline.  L’ossessione degli Aerosmith più vitali rivive in Own my mind. Ed è tornato anche Elvis grazie ai Måneskin con If not for you, questa canzone sarebbe magnifica in una versione natalizia in duetto con Mina.

Damiano è un moderno Orfeo e riesce a trovare le parole per non perdere la sua Euridice. Sempre. Sfidando ogni inferno. E l’inferno vero poi arriva, ed è quello dell’ossessione degli stalker

“Però lui giura che ti ha amato / Che non vorrebbe farlo / Però il suo amore non l’hai ricambiato / E puoi trovarlo sotto casa / Con un coltello in mano / Perché non hai risposto a un suo messaggio / Però lui giura che ti ha amato / Che non vorrebbe farlo / Però il suo amore non l’hai ricambiato”

Mark Chapman è l’assassino di John Lennon e Damiano David (voce), Victoria De Angelis (basso), Thomas Raggi (chitarra) ed Ethan Torchio (batteria) ci ricordano quanto ci manca e quanto sia pericoloso e tribale il delirio molesto di chi professa amore nascondendo un sentimento solo criminale e questa canzone è anche una condanna ed un antidoto e arma di difesa contro ogni violenza di genere.  

I Måneskin hanno quella rabbia generazionale civile necessaria per ricordarci che non serve un nuovo Rinascimento ma una nuova Beat Generation per ritrovare il coraggio di salire in piedi su un tavolo, o su una sedia in un parco e cantare al mondo tutto il dolore, tutto l’amore e solo nell’attraversamento di quel brivido di fine si può ritrovare la lentezza per innamorarci ancora una volta della vita oltre la morte. Tutto questo è rock n roll. W i Måneskin, W Rush! e buon eterno viaggio di nozze.

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