Per il movimento di liberazione animale italiano si apre una nuova stagione, dal trauma alla lotta dopo il corteo nazionale del 7 ottobre. L’attacco al santuario per animali Cuori Liberi, di cui avevamo parlato qualche settimana fa, ha avuto, come noto, un esito tragico. Le forze dell’ordine sono intervenute con violenza per sgomberare il presidio dellə attivistə. Incatenarsi ai cancelli, resistendo in modo pacifico non è stato sufficiente. I veterinari dell’Ast di Pavia sono potuti entrare per eseguire l’ordinanza di abbattimento (uccisione) dei 9 maiali sopravvissuti alla peste suina africana (Psa).

Dal trauma alla lotta: gli allevamenti intensivi

L’evento ha costituito un trauma per noi persone presenti e per tutto un movimento di solidarietà che si andava formando nel Paese. Non è stata tanto la violenza poliziesca a colpirci, quanto lo shock di assistere impotenti alla violazione di un luogo per noi intoccabile. Abbiamo toccato con mano fino a che punto lo Stato può spingersi per difendere gli interessi economici di un settore mortifero e inquinante come quello degli allevamenti intensivi.

Già, perché i motivi all’origine di questo accanimento su un piccolo santuario la cui unica colpa era quella di accogliere animali da reddito, salvati dall’industria della carne o del latte, trattandoli come individui e non come merci, vanno rintracciati nelle politiche relative al contenimento dei focolai di PSA.

Dal trauma alla lotta: un'attivista viene trascinata dai poliziotti durante la resistenza al rifugio Cuori Liberi (Credits: Martina Micciché e Saverio Nichetti)

Guerra al selvatico e stamping out

La peste suina è una malattia altamente contagiosa e letale, che non colpisce gli umani, ma solo maiali e cinghiali. Da qualche anno le autorità indicano gli animali selvatici come untori, comodi capri espiatori da sterminare con l’aiuto dei cacciatori e, di recente, persino dell’esercito. I cinghiali sono l’oggetto di una campagna di demonizzazione e di sterminio. Tutto ciò nel timore che il virus entri e dilaghi negli allevamenti intensivi di maiali.

E quanto negli allevamenti ci arriva, come accaduto nel pavese, la risposta dello Stato è il cosiddetto “stamping out”: l’abbattimento di tutti i maiali coinvolti, compresi quelli sani. Ad oggi, nella zona sono state effettuate 34.000 uccisioni. Che esista una struttura che opera con logiche diametralmente opposte e che dunque non è disponibile a sacrificare le vite di chi vi abita per un indennizzo in denaro è chiaramente un fatto non accettabile per chi i maiali li alleva per farne salumi.

Non solo. Il caso del santuario Cuori Liberi rischia di far conoscere all’opinione pubblica queste realtà che finora erano frequentate perlopiù da persone animaliste. Paradossalmente, dopo il blitz del 20 settembre, è proprio questo che avviene.

Foto: un'attivista accovacciata al rifugio Cuori Liberi, dietro gli agenti in assetto antisommossa (credits: Martina Miccichè e Saverio Nichetti)

I santuari per animali liberi

Che cos’è un santuario? Un santuario è un luogo in cui la convivenza fra specie diverse descritta nei testi antispecisti si fa reale, almeno in parte. Queste specie non sono solo cani e gatti, ma anche mucche, polli, conigli, pecore: individui che il sistema produttivo utilizza come oggetti, facendoli nascere e crescere per poi smembrarli.

I santuari sono comunità interspecie. In un certo senso, sono famiglie: non nucleari, non eterosessuali, non monogamiche, non riproduttive, non (esclusivamente) umane. Educano chi le visita al rispetto dell’alterità, ma anche alla sua scoperta. Che cos’è, infatti, una mucca che non viene continuamente ingravidata e munta? Si tratta letteralmente di un altro animale, libero di esprimere i propri desideri, la propria agency e di sviluppare liberamente delle relazioni.

Ma in Italia i santuari e i rifugi antispecisti sono una realtà preziosa per i diritti animali anche per altri motivi: negli ultimi anni si sono distinti per un protagonismo culturale e politico significativo, e hanno saputo intrattenere rapporti alla pari con associazioni, gruppi, lotte di altro genere, all’insegna di una marcata intersezionalità.

Dal trauma alla lotta

Come accennato, il 20 settembre è stato un momento di trauma. Ma al tempo stesso ha costituito un’occasione di rilancio per le lotta antispecista, anche perché l’attacco a Cuori Liberi non è stato isolato: la Regione ha immediatamente emesso un’ordinanza restrittiva contro tutti i santuari lombardi. Nell’immediato, dopo alcune iniziative pubbliche, la risposta alla repressione è stata affidata a un corteo nazionale.

Il 7 ottobre, a Milano, hanno sfilato oltre diecimila persone solidali, che hanno espresso dolore e rabbia, indicando chiaramente i mandanti dell’aggressione nelle istituzioni regionali e nazionali, nella filiera suinicola e nell’industria della carne in generale. Una risposta emotiva, certamente, e che tale emotività l’ha apertamente rivendicata come un fatto politico; ma al tempo stesso una risposta lucida, in grado di attraversare le strade cittadine con contenuti antispecisti e orgogliosamente antifascisti, come ha fatto notare l’attivista Silvia Molè in una recente intervista radiofonica.

Il 7 ottobre è sceso in piazza un movimento che non rinnega la propria capacità di piangere, ma non per questo non è in grado di individuare le responsabilità politiche e articolare contenuti intersezionali. Un antispecismo politico, nella pratica dei corpi che si sono messi in gioco prima aggrappandosi ai cancelli del santuario e poi riempiendo le vie di Milano.

Per il movimento di liberazione animale italiano si apre una nuova stagione di lotta dopo il corteo nazionale del 7 ottobre. La sfida, da oggi, sarà quella di proteggere una parte irrinunciabile del movimento di liberazione animale, e cioè i suoi luoghi di cura, senza limitarsi ad azioni meramente difensive. Rispondere alla repressione rilanciando con una critica radicale a un settore produttivo, quello della zootecnia, tanto caro all’attuale governo ma al tempo stesso responsabile della messa a morte di milioni di individui non umani e dell’aggravamento della crisi climatica in atto.

L’invito a non dimenticare i 9 compagni uccisi – Pumba, Dorothy, Ursula, Bartolomeo, Carolina, Mercoledì, Crusca, Spino, Crosta – è un invito a elaborare il lutto costruendo un mondo migliore per ogni specie del pianeta.

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