Come un mostruoso animale che si muove velocemente con viscidi tentacoli, la mafia ha attraversato i confini degli Stati europei. Seguendo il suo potente olfatto, striscia annusando le nauseanti tracce del denaro sporco e divora voracemente tutto ciò che incontra. Troppo pochi gli ostacoli posti dall’Unione europea per bloccare la sua espansione. Ma adesso, finalmente, dopo molti anni di pressione da parte delle forze giudiziarie e di polizia, c’è un’arma comune. Dal 19 dicembre 2020 è entrato in vigore il Regolamento (Ue) 2018/1805 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca emessi da un altro Stato membro nel quadro di un procedimento in materia penale.

Perché è così importante questo documento? In sostanza con la nuova normativa diventano immediatamente esecutivi in tutta Europa sequestri e confische contro le mafie. L’autorità, come il pubblico ministero o il giudice, che stabilisce la confisca o il congelamento dei beni di mafiosi trasmette il provvedimento all’autorità dello Stato straniero, dove si trova il bene, che deve procedere immediatamente alla confisca. Prima ciò non avveniva in moto automatico ostacolando fortemente la giustizia.

Per molti anni si è cercato di attuare una normativa armonizzata per il contrasto alle mafie, ma vari Stati europei hanno opposto a lungo resistenza. È come se nell’Ue si facesse fatica a riconoscere che la mafia è una questione transnazionale e non certo solo italiana.

Sono due i punti fondamentali di diversità normativa nell’Ue.

Il primo riguarda l’estensione in tutti i paesi del reato di associazione mafiosa in quanto tale, indipendentemente dal reato compiuto, come previsto in Italia dall’articolo 416 bis del codice penale e come richiesto anche dall’Europol.

Il secondo era proprio la possibilità di confiscare i beni della criminalità organizzata anche in assenza della condanna definitiva, quando si hanno gravi indizi di colpevolezza e l’indagato o l’imputato non può dimostrare la provenienza lecita dei beni. Adesso questo punto è stato raggiunto, ma ha dovuto superare detrattori come il Consiglio d’Europa, il Comitato delle Regioni, paesi come la Finlandia che temevano di ledere i diritti di proprietà.

Mentre in Italia per una questione di tradizionalità della criminalità organizzata, le leggi anti mafia sono molto più strutturate e rigide, quelle degli altri paesi europei sono molto più deboli. Ciò indeboliva anche gli interventi di polizia oltreconfine. La novità normativa rappresenta quindi un significativo rafforzamento degli strumenti di cooperazione tra gli Stati membri dell’Ue.

Purtroppo rimangono ancora molte differenze tra i Paesi membri e, sembra assurdo, ma ci sono elementi problematici nella definizione stessa del concetto di crimine organizzato. Secondo la decisione quadro del Consiglio del 24 ottobre 2008 è “un’associazione strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati… per ricavarne, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale” che prevedano una pena non inferiore ai quattro anni di reclusione. Tuttavia per l’Europol tale definizione associa le organizzazioni criminali alla commissione di un delitto, ostacolando in questo modo l’uso di molti strumenti di indagine. Paesi come la Danimarca e la Svezia addirittura non prevedono il reato di crimine organizzato.

Parliamo di un fenomeno che ha dei numeri spaventosi e che si accresce con modalità del tutto nuove e molto più penetranti. La mafia, in generale, uccide di meno rispetto al passato, ma è così ricca da poter condizionare l’andamento dell’economia e la stessa democrazia dei paesi. E fa paura. Se è vero che le mafie di tradizione italiana ‘ndrangheta, camorra, e cosa nostra, restano le più forti, si contano in tutti i paesi Ue circa 5mila organizzazioni criminali di 180 diverse nazionalità, clan albanesi, mafie russofone, gang di motociclisti del Nord Europa, mafia turca, clan vietnamiti, mentre l’algida e civilissima Svezia fa i conti con la mafia siriana.

L’economia criminale si muove nel mercato della droga, con i carichi delle migliaia di container che sbarcano nei porti di Rotterdam, di Anversa, o nella penisola iberica, della tratta di migranti, della prostituzione, della contraffazione. Montagne di denaro che portano alla corruzione e all’accaparramento di finanziamenti e appalti pubblici, denaro che viene ripulito con il riciclaggio nel settore della finanza, quello dell’immobiliare, del turismo, alberghi, ristoranti, partecipazioni in imprese. E questo avviene in tutti i paesi europei, tanto più in quelli ricchi come la Germania dove le opportunità economiche sono più allettanti.

In base alle stime di Transcrime il mercato illecito di droga e contraffazione raggiunge quasi 110 miliardi di euro. Invece secondo il Fondo Monetario Internazionale i danni dovuti alla corruzione raggiungono 1.000 miliardi di euro l’anno.

Ma è in atto anche qualcos’altro. E dove c’è odore di guadagno c’è puzza di mafia. Il virus del malaffare sfrutta a proprio vantaggio il virus della pandemia infilzando gli artigli su tutte le opportunità di profitto della gestione sanitaria: servizi di smaltimento dei rifiuti speciali, servizi di sanificazione, anche i servizi cimiteriali e di onoranze funebri, distribuzione illegale delle mascherine, usura per le attività che non ce la fanno. Bisogna inoltre vigilare sui fondi per la ripresa Ue in arrivo, tanto che il giornale tedesco, Die Welt, ha sollecitato, in modo inquietante, la cancelliera Merkel affinché impedisca che i fondi Ue arrivino all’Italia perché andrebbero alla mafia.

Neanche la strage di Duisburg del 2007 in Germania o le frodi del mercato dei fiori olandese hanno richiamato abbastanza l’attenzione sulla mafia come questione europea. Non è facile sconfiggere le mafie, ma sicuramente la lotta non può che avvenire anche in questo caso con una forte coesione Ue che ancora non c’è. Contro la criminalità l’unica risposta possibile è un’Europa più forte.

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