Il Mugello non è solo un luogo dove c’è un autodromo nel quale si corre con moto e macchine, è molto, ma molto di più. Un posto pieno di verde declinato in tante sfumature, di colline e monti che dolcemente arrivano fino alla pianura, di piccoli borghi che salendo sul crinale dell’Appennino arrivano fino a cadere nella giurisdizione della Romagna. Un microcosmo pieno di arte, natura ed eccellenze enogastronomiche. Praticamente un eden dove ogni tanto fantastico il mio vivere.

Per questo quando Leonardo, amico e proprietario dell’azienda agricola L’orto del vicino, mi telefonò per invitarmi a Vicchio, dissi di sì a prescindere. Mi spiegò che stavano organizzando un nuovo evento sul vino e che la sua formula non era quella convenzionale, ma qualcosa dove i vignaioli con le loro creature avrebbero avuto uno spazio diverso.

Devo dire che la curiosità di cui sono fatta per metà, dopo questo piccolo colloquio si era messa in modalità allerta. La data era il 19 giugno e circa un paio di settimane prima mi ha scritto la segreteria di questo evento, il cui nome è un’interessante sorpresa.

Il nuovo Appenninia Wine Festival

Appenninia è un toponimo con il quale già ai primi del ‘900 indicavano quella parte di Italia centrale e meridionale che si contrapponeva alla parte settentrionale, chiamata Padania (non faccio digressioni e\o battute).

Anche un geografo, Angelo Mariani, pubblicó nel 1910 un manuale il cui titolo, Geografia economico sociale dell’Italia, facendo riferimento agli atti parlamentari del Regno d’Italia, divideva la penisola in queste due aree.

Nel comunicato che ho ricevuto, oltre che per confermare l’invito, vi erano elencati il programma e una serie di possibilità per potersi immergere in questa occasione già dalla sera precedente, tutto ciò come ospite. 

In tanti anni di degustazioni e presentazioni, non avevo mai visto così tanta attenzione e voglia di essere conosciuti. Ho declinato la mia presenza per la domenica, ma lunedì mattina alle 9.30 come da programma sono arrivata al Teatro Giotto. A proposito, anche lui (l’artista Giotto) nato e vissuto da queste parti.

Nella adiacente di piazza della Vittoria avevo visto già la preparazione dei banchi d’assaggio e quindi non riuscivo a capire bene quale sarebbe stato l’uso del teatro. Comunque sono entrata; e già che c’ero mi sono seduta in prima fila, come la più diligente delle scolare.

Gli occhi sono stati catturati da qualcosa di peloso di colore biondo, un golden retriever bellissimo. Per qualche minuto ho visto solo lui, poi allargando il campo visivo, ho notato che non era solo. Magari nella novità poteva esserci un nuovo utilizzo del cane, visto che, se potesse, sarebbe il miglior sommelier del mondo, grazie al suo olfatto.

Il guinzaglio rosso che lo teneva era nelle mani di Massimo Cirri, storico conduttore di Caterpillar nonché psicologo ed autore di testi teatrali. Nel giro di qualche minuto, riempita la platea, questo particolare incontro ha preso il via. Ovviamente non sono mancati i saluti istituzionali, compresi quelli di Oscar Farinetti, creatore di EatItaly ed un lungo intervento di Giampaolo Gravina, che di vino ne sa e può parlare oltre che scrivere.

Le cantine del Mugello

Poi, come una pièce teatrale d’avanguardia, sono saliti in scena loro, quelli che fanno il vino. A turno, ognuno di loro ha raccontato il loro perché in quel territorio, attraverso ricordi, occasioni, storie di famiglia. Un bellissimo romanzo vivente pieno di sfumature, dove i personaggi non sono omologati se non per  quei grappoli che al momento della vendemmia danno ad ognuno la dimensione della propria scelta. Non tutti, ma quasi.

Mi era sconosciuta (ahimè) la realtà di Modigliana, con la sua peculiarità di essere stato un comune toscano fino al 1923, ma a parte questo, con la voglia dei suoi viticultori di dare un’identità precisa ai vini: imprimere il più possibile la matrice geologica fatta di marna e arenarie come segno distintivo sia nei bianchi da vitigni internazionali che nei rossi, Sangiovese compreso.

Tre le cantine presenti: Il Pratello, Il Teatro e La Casetta dei Frati, sorridenti e pronti nonostante l’alluvione del mese scorso. In sequenza si sono presentati dopo di loro, chi questi boschi li ha tatuati dall’infanzia, chi passando per caso ne ha carpito l’essenza e come fosse il centro del mondo, ha voluto fermarsi proprio qui. 

In tutta questa passione ci si è ritrovati anche a piantare il Pinot nero, vitigno d’eccellenza della Borgogna, perché questa parte dell’Appennino ha dalla sua l’escursione termica e un terreno argilloso, condizioni per cui quest’uva difficile e delicata trova la sua collocazione.

Ho ascoltato le parole di Paolo Cerrini, dell’azienda Il Rio: senza la sua intuizione risalente agli anni ’90, non ci sarebbe stato seguito. Il suo percorso personale e il racconto a quel periodo mi ha fatto pensare quanto l’osservazione insieme ad una dose di coraggio, ti renda complice di ciò che vuoi conquistare.

Si sono succeduti tutti, e uno degli ultimi è stato Enrico Lippi della cantina Frascole, al quale mi lega un’amicizia di cui ho perso l’inizio, ma che più degli altri ho seguito in questi anni partendo dal suo unico Chianti Rufina.

Le pagine di questo racconto hanno poi lasciato posto agli assaggi (senza il pubblico) e ognuno dei 20 produttori ha potuto continuare con il vino nel bicchiere, a farmi immaginare cosa sia per loro amare quel clima, quella terra e soprattutto il suo risultato.

Mi sono concentrata ovviamente sul Pinot Nero, mia passione che, come già anticipato, sta costruendo la propria identità in questo territorio. Volutamente mi sono imposta di non fare nessun paragone con quelli d’Oltralpe, dove potrebbe bastare la storia per renderli irraggiungibili.

Ho cercato nell’assaggio quale poteva essere il filo conduttore. E così passando da un produttore all’altro ho pensato che la toscanità, intesa come approccio senza fronzoli, rispettoso del terroir, possa essere una caratteristica per legare in maniera indelebile questo binomio.

Le cantine che già da tempo hanno intrapreso questo viaggio, come Il Rio e Podere Fortuna sono quelle, seppur diverse come impostazione e nel bicchiere, ad aver dato degli aspetti meno internazionali a questo vitigno o in maniera più prosaica, l’idea che possa essere adottato e adattato nel Mugello.

Forse sono stata troppo lunga, ma questa esperienza così raccolta e curata, è un modello che per alcune zone vitivinicole poco affermate e sconosciute ai più, andrebbe replicato e incentivato. In Toscana, nel Mugello come in altre zone, c’è ancora molto da scoprire!

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