Per farla finita con la famiglia. Dall’aborto alle parentele postumane scritto dalla ricercatrice femminista e docente di scienze sociali presso l’Università degli Studi Roma Tre Angela Balzano, è in grado di aprire scenari critici circa il modo in cui la famiglia si sia strutturata e codificata a livello sociale nel corso della storia occidentale contemporanea. Apre a domande sottese, ma che devono essere esplicitate e segna un terreno di soglia fertile per cercare di comprendere quanto il progetto di vita che scegliamo a volte non sia una vera decisione.

“Non voglio diventare madre”

Questa è una delle frasi che viene riportata nel testo di Angela Balzano. Quanto scuote il senso comune una tale asserzione? Come può una donna dire una cosa del genere? Quale insana malattia la può abitare? Siffatta, probabilmente, è la prima reazione che possiamo provare nel sentire pronunciare da una donna queste parole: un senso di disagio endemico, come se la natura avesse sbagliato qualcosa.

Come può una donna non desiderare la maternità?

Percorsi di normalizzazione

Stavo camminando per le strade del mio piccolo paese e ad un certo punto vedo un giovane ragazzo spingere una carrozzina con suo figlio all’interno e alle spalle la madre. Mi sono soffermata su quei volti e l’unica cosa che sono riuscita a trovarvi è stata un’enorme tristezza, ci ho visto un senso di vuoto che mi ha afferrata e mi ha fatta sprofondare nel più assoluto sconforto.

E ancora, ero da sola a cena in un ristorante (adoro cenare da sola e osservare le altre persone: i ristoranti sono un luogo di studio privilegiato per comprendere le dinamiche sociali umane) e sempre un padre e una madre con una bellissima infante stavano cenando: non una parola tra loro, non un gesto di affetto e la piccola sembrava qualcosa di ancora più assente e avulso della loro stessa relazione.

Quando mi sono alzata per andarmene all’uscita del ristorante c’era la madre che cullava la bambina per farla addormentare, mentre il padre era comodamente seduto al suo tavolo a fumarsi una sigaretta. E ancora: matrimoni sfarzosi che mi passano davanti agli occhi sulle pagine di di Facebook: donne con donne, uomini con uomini e poi sposi che si baciano, in apparenza felici. E mi chiedo: quanto durerà? Quanto ci metteranno a non prendersi più in considerazione? Quando arriverà quel pargolo che inconsapevole verrà gettato al mondo senza che vi sia un desiderio reale?

Ci hanno insegnato che la vita è questo: crescere, sposarsi, fare dei figli, lavorare, andare in vacanza, invecchiare e morire. Creare una famiglia che sia possibilmente il più chiusa possibile nei confronti del mondo, un angolo in cui celebrare la propria terra senza che nessuno possa entrarvi mai.

Perché se sei nato uomo devi essere un padre di famiglia, se sei nata donna devi fare dei figli (altrimenti è come se fossi a metà). Come gli schiavi della caverna di Platone viviamo guidati da quelle illusioni che la società e la cultura ci hanno imposto.

E se non fosse così? Se invece di seguire un modello preconfezionato di esistenza iniziassimo a domandarci davvero e con profondità quali siano i nostri desideri? Ma soprattutto, cosa succederebbe se ammettessimo che ciò che ci muove nella vita differisce dal modello che ci hanno imposto?

Oltre la normalizzazione:
per farla finita con la famiglia

Il testo di Angela Balzano analizza con sapienza e profondità la questione della maternità e dell’incremento delle nascite. Attualmente questo è un tema dibattuto a livello politico e il nostro governo grida allo scandalo per il calo delle nascite nel nostro Paese tuttavia, contemporaneamente, vuole rendere illegale andare all’estero (in Italia non lo si può fare) per accedere al servizio di fecondazione assistita o come viene definita utero in affitto.

Seguendo il ragionamento proposto da Angela Balzano risulta evidente come la campagna pro-life sia solo uno specchietto per le allodole là dove questo tipo di politica di incremento delle nascite, che vuole rendere illegale l’aborto, sia in realtà una gestione indiretta del corpo della donna.

L’utero non è un organo, ma una questione politica: il controllo delle nascite. La produttività umana – il capitale umano – è funzionale a un sistema di controllo legato alla produzione e al consumo. L’impossibilità di poter decidere circa la maternità va a braccetto con la negazione dei diritti per quelle coppie che non si assettano in quella casellina ristretta, ma cara a molti che viene chiamata normalità.

È in quella angusta cella che si trovano il papà che spinge la carrozzina, la mamma che culla la sua bimba da sola fuori dal ristorante, quelle persone che spendono migliaia di euro per una celebrazione di nozze. L’angusta cella della normalità. Una cella che nega le differenze e che non solo non le sa integrare (o lo fa solo apparentemente) ma non è in grado di percepire la diversità come arricchimento.   

Come ben spiega Angela Balzano, la famiglia intesa quale modello borghese dall’inizio del XIX secolo si configura come un gruppo chiuso e ristretto nel quale non possono esserci interferenze esterne. È necessario che la famiglia si fondi su sé stessa e quindi su una comunanza e continuità genetica, là dove la possibilità di scelta e di interscambio e di diversità vengono negate tout court.

L’autrice, affidandosi alle normative legali circa la famiglia, ci esplicita come il corpo della donna si tramuti in una cosa statale e medica e di come le biopolitiche governamentali occidentali controllino non solo la riproduzione, ma anche la sessualità.

Proclamare il diritto alla nascita non solo non è affatto amore per il feto-bimbo quanto una forma di controllo che vuole escludere ogni forma di genitorialità e parentela che non rientri nel canone normato direttamente e verticalmente dallo Stato.

Il testo di Angela Balzano non si schiera contro le nascite quanto piuttosto rivendica il diritto di scelta circa la genitorialità: essa deve essere una decisione soggettiva, un monito interiore profondo e consapevole e non può essere trasformata in un bene produttivo a scopi prettamente economici.

Proprio il fatto che la genitorialità venga negata alle coppie che non rientrano nello schema normativo etero-monogamo evidenzia come il cardine della questione non sia la difesa del feto, quanto il mantenere una struttura sociale andata a consolidarsi attraverso lo spirito del capitalismo.

Scrive la filosofa:

“il Piano Nazionale di Fertilità è un dispositivo governamentale biopolitico e neoliberista, mira a circoscrivere il dilagare del desiderio non riproduttivo ed eterosessuale, e per arginarlo si colloca nell’arena biomedica”.

Detto ciò, la proposta costruttiva dell’autrice è quella di provare a pensare a delle modalità non fasciste di ri-generazione collettiva là dove esse si svincolano da dinamiche prettamente genetiche e famigliari, andando a riscoprire quei legami di parentela che sono in grado di porsi in costellazione con il differente.

Al di là della famiglia, oltre la famiglia, ci può essere un concetto più esteso di comunità laddove la donna non si configuri solo come un contenitore di feti, ma come soggetto politicamente attivo e quindi in grado di operare una scelta personale riguardo sé stessa e il suo corpo.

La stessa maternità potrebbe essere ripensata in termini comunitari: la donna che ha un figlio non dovrebbe essere abbandonata a sé stessa e la possibilità di avere più figure di riferimento potrebbe essere un arricchimento per il nascituro, potrebbe non schiacciarlo a un unico modello normativo dettato dal desiderio del genitore biologico (Lacan).

Voglio diventare madre

In questi giorni ho letto un libro bellissimo che mi ha spinta e guidata a comprendere con più profondità anche le parole di Angela Balzano, il testo a cui mi riferisco è Nata con noi scritto da Eugenia Romanelli insieme alla moglie Rory Cappelli.

Il lavoro mira a raccontare quanto sia stato complesso e tortuoso il riconoscimento della genitorialità di entrambe le madri e di come, ancora oggi, nonostante una sentenza del tribunale a loro favore, debbano vivere nel constante terrore che questo diritto venga a loro revocato.

Ma narra anche della storia di Eugenia e Rory, del loro amore scelto, consapevole, maturo ma passionale. Racconta di Barbara, una bimba arguta, intelligente che non teme il confronto, che ama la sua diversità (forse perché è stata guidata saggiamente in questo). Tuttavia, vi sono due elementi che mi hanno completamente polarizzata sul libro (non sono riuscita ad abbandonare la lettura neppure per adempiere a un impegno che mi ero presa; l’ho dovuto rimandare! Perché non potevo smettere di leggere).

Il primo è di come la decisione di avere un figlio in una coppia omogenitoriale sia un atto di estrema consapevolezza, esso non aderisce alle leggi imposte dallo Stato ma mira a minarle, è una sfida al sistema.

Al contrario delle coppie eterosessuali che, più o meno consapevolmente, sono irretite da un sistema che le induce a produrre esseri umani, essere omossessuali implica non solo una profonda analisi del proprio desiderio circa la genitorialità, ma anche una vera e propria lotta per scalfire il sistema.

La seconda cosa che mi ha lasciata più segnata nella lettura del testo riguarda due specifici passaggi: il primo sono le parole che Rory dice ad Eugenia in un momento di sconforto: “Ai bambini non importa di queste cose, per loro la realtà non è oggetto di giudizio, ma semplicemente una presa d’atto” e, più avanti nel testo è Eugenia a dimostrare di aver introiettato il monito di Rory e di essere quindi stata in grado di alleggerire le sue preoccupazioni relative all’integrazione di Barbara: “siamo noi adulti che assegnamo valori ai fatti. Ma per i bambini i fatti sono fatti”.

Quello che viene evidenziato nella storia che ci raccontano le due mamme è come la nostra società ci spinga ad introiettare un immaginario – proprio come suggerisce Angela Balzano – e come questo immaginario sia foriero di giudizi di valore e assegnazione di valori.

Ancor peggio è che questo tipo di sistema non solo non permette alle persone di entrare in contatto con loro stesse – con quello che è il loro pensiero circa le cose, con quelli che sono effettivamente i loro desideri – ma le schiaccia rendendo vittime anche gli usurpatori.

Intendo dire che non tutti hanno nella vita la possibilità effettiva di mettersi in discussione; e il sistema politico non auspica alla formazione di individui critici e pensanti quanto ad in-formare prototipi umani che aderiscano a delle volontà e a delle ragioni che corrispondano a scopi che sono di natura bio-politica o, peggio ancora, socio-economica.

I bambini che non sono in-formati circa la necessarietà delle cose e circa delle codificazioni monogamiche sono aperti, prendono le cose per quello che sono senza per forza dover attribuire ad esse un giudizio. Prendere i fatti per quello che sono: fatti. Avere due mamme: un fatto. Avere una mamma e un papà: un fatto. Avere due papà: un altro fatto. Punto. Oltra a questo “tutto è noia”.

Stiamo vivendo una società in mutamento, i vecchi modelli capitalisti e borghesi fondati sul valore della famiglia eterosessuale, sulla produzione di infanti, su donne a casa con utero sempre disponibile e uomini macio che procurano il pane non funzionano più giacché non rappresentano niente di quello che stiamo vivendo.

La società appare oggi come qualcosa di multiforme, colorato, polifonico e ha bisogno di una guida politica che non imponga sistemi, ma che alimenti la forza propulsiva di questo cambiamento in atto.

Modificare le prospettive è una presa di coscienza necessaria non solo per salvare il mondo ma anche per salvare noi sessi: la possibilità di esprimerci, di declinare la vita secondo i nostri desideri, la possibilità di essere davvero felici. E la felicità è appartenenza: non sentirsi esclusi dal palcoscenico del mondo ma, anche, soprattutto, poter interpretare se stessi nel corso di questa breve, bizzarra, inaspettata ed inaspettabile vita.

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