La sicurezza dei prodotti che mangiamo ogni giorno dipende – in grossa parte – da una poco conosciuta organizzazione internazionale creata (con due risoluzioni del 1962 e 1963) e controllata dalla FAO e dall’OMS, a cui partecipano i delegati di quasi tutti gli Stati del mondo (191): la Codex Alimentarius Commission (CAC).

Si tratta di una Commissione esterna delle due organizzazioni, cui è affidato il compito di dare attuazione a un programma di standard alimentari mediante l’emanazione di linee guida, codici di condotta e standard tecnici sulla sicurezza e la qualità alimentari. In particolare, gli standard sono misure di regolazione specifiche e dettagliate aventi natura giuridica di norme tecniche volontarie (soft law). La CAC nasce con l’obiettivo di proteggere la salute dei consumatori e, al contempo, assicurare giuste pratiche commerciali:“protecting the health of the consumers and ensuring fair practices in the food trade” (FAO/WHO (1961/62), Statutes of the Codex Alimentarius Commission, Art. 1).

Si tratta quindi di un Codice, mondiale, di standard sul cibo. Standard dettagliati, a contenuto tecnico (la percentuale di grassi non può eccedere il 30%; il contenuto di coloranti non può essere superiore a detta soglia; i residui di sostanze veterinarie non possono superare il limite di… ecc.), non vincolanti, ma molto importanti e molto utili perché condizionano sia i produttori di alimenti, sia gli Stati. I primi, infatti, sanno che adeguando i loro prodotti ai parametri degli standard li potranno commerciare senza problemi, in quanto ritenuti conformi alle norme internazionali a tutela della salute dei consumatori. I secondi, possono far proprie quelle norme tecniche e tradurle in norme giuridiche, in leggi, regolamenti, provvedimenti, vincolanti a livello nazionale per i produttori e quindi decisivi nel determinare le scelte finali di noi consumatori.

Ma perché gli standard della CAC sono tanto importanti? Possiamo considerarli meramente volontari o hanno una forza giuridica maggiore? E come vengono adottati e approvati?

Per rispondere alla prima domanda, dobbiamo cominciare dalle altre due.

Anche se formalmente gli standard della CAC non sono giuridicamente vincolanti, essi acquistano una notevole forza giuridica grazie al richiamo da parte dell’Accordo sulle Misure Sanitarie e Fitosanitarie (Accordo SPS) dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Questo trattato stabilisce le condizioni in base alle quali uno Stato può restringere il proprio mercato nazionale, per esempio vietando l’importazione di determinati prodotti stranieri, per ragioni di tutela della salute.

L’Accordo ha un approccio molto trade-oriented perché prevede che per giustificare misure restrittive del mercato di questo tipo (ma anche più blande, come la richiesta di indicare in etichetta certe informazioni) l’onere della prova spetti al Paese che limita il commercio per tutelare la salute e che questo fornisca una motivazione basata su studi scientifici in grado di dimostrare – almeno in termini di probabilità – il nesso di causalità tra prodotto contestato e rischio paventato.

Queste dimostrazioni sono molto difficili, specialmente nel mondo complesso e multirischio in cui viviamo attualmente ove le cause delle patologie sono spesso numerose e interconnesse. In questo modo le deroghe al libero mercato sono molto rare e di difficile attuazione.

Se non vogliono dover ricorrere a questa dimostrazione così esigente, gli Stati hanno un’alternativa: conformare le misure di regolazione a uno standard di un’organizzazione internazionale riconosciuta dall’OMC. Tra queste c’è ovviamente la Codex Alimentarius Commission. Questo vuol dire che se uno Stato vuole porre limiti al commercio di prodotti provenienti da altri Paesi per tutelare la salute e c’è uno standard della CAC che glielo permette, perché ha determinati parametri ritenuti soddisfacenti, quello Stato non dovrà fare altro che adeguare la sua misura domestica al contenuto dello standard internazionale.

E siccome le norme che compongono l’Organizzazione Mondiale del Commercio sono vincolanti e il sistema di scambi internazionali che da essa deriva è fondamentale per le economie delle nazioni del mondo, è evidente che gli standard della CAC, seppur formalmente volontari, diventano, come si dice, quasi-binding, semi-vincolanti.

Veniamo quindi al secondo aspetto: importante perché anche se gli standard della CAC sono tecnici, essi importano delle valutazioni con effetti politico-economici: stabilire un limite all’utilizzo di una certa sostanza più in alto o più in basso può spostare migliaia di euro. Per questo non sempre gli Stati sono disposti ad adeguarsi a tali standard. Occorre quindi chiedersi: come vengono redatti, negoziati e alla fine approvati gli standard? Attraverso una procedura di varie fasi che prevede la partecipazione di diversi soggetti, internazionali e statali.

La Commissione dà inizio al procedimento ex officio, su iniziativa di uno Stato membro o di un organo sussidiario della stessa CAC (uno dei comitati che compongono il Codex).

La proposta di standard entra quindi nella fase istruttoria, che implica una valutazione di tipo scientifico, svolta da Comitati internazionali composti da esperti e nominati da FAO e OMS: la Commissione emana una richiesta di un parere tecnico, rivolta agli organismi specializzati, dando il via a una procedura collegata che fornirà la base scientifica degli standard. Questa fase è delicata, ma non esente da rilievi critici. Si può evidenziare, ad esempio, che le «organizzazioni madri» non prevedono il pagamento degli onorari a favore degli scienziati, che potrebbero quindi accettare contributi da parte di soggetti privati. Inoltre, le garanzie legali per evitare forme di pressione o corruzione nei loro confronti sono molto blande (dichiarazione di assenza di conflitti di interessi). I risultati dei comitati sono però pubblici e consultabili (ma non necessariamente comprensibili) da chiunque.

Nella fase successiva del procedimento di standard-setting la bozza di standard è presa in consegna dal comitato competente per essere discussa ed elaborata, mantenendo come base il rapporto scientifico, ma considerando anche interessi politici ed economici dei vari Stati. I comitati sussidiari del Codex hanno carattere intergovernativo e transnazionale (ad essi partecipano funzionari amministrativi di autorità nazionali e possono intervenire le ONG, ma solo come osservatrici). Tuttavia, visto il gran numero di comitati (aventi sede in vari Stati), non tutti i Paesi e non tutte le ONG sono in grado di nominare e finanziare altrettante delegazioni e ciò ha una rilevanza anche sul piano giuridico perché condiziona la possibilità di far valere i propri interessi alle concrete capacità economiche dei soggetti partecipanti.

La fase dell’istruttoria, dunque, è duplice: una prima parte consiste nelle valutazioni tecnico-scientifiche dei comitati di esperti, la seconda, invece, pur basandosi sulla prima, possiede una rilevante connotazione politica e coinvolge numerosi soggetti portatori di vari interessi.

La fase decisoria prevede una discussione nella Codex Alimentarius Commission, un invio della versione provvisoria dello standard a tutti gli Stati membri, per ulteriori commenti o proposte di emendamento. Poi, il documento è approvato – tramite consensus (ossia accordo negoziato di tutti i partecipanti) o, se questo è impossibile, votazione a maggioranza relativa – quindi viene pubblicato nel Codice.

Una caratteristica significativa della fase decisoria riguarda la trasparenza: prima di un’importante riforma del 2018, questa fase poteva essere adottata in segreto per cui i decisori erano esenti da forme di controllo e da responsabilità diretta di carattere politico. Ora la decisione deve essere tenuta in pubblico. Si tratta di un traguardo importante, che forse poteva arrivare prima.

Come notato in precedenza, gli standard elaborati dalla Commissione e dagli organi sussidiari hanno un impatto significativo sulla regolazione del settore alimentare dei Paesi membri. Questi tenderanno a conformarsi alle norme Codex, piuttosto che affrontare le complesse e costose dimostrazioni scientifiche richieste dall’accordo SPS. Ciò può avere rilevanti ricadute anche sulla vita dei singoli cittadini/consumatori e dimostra la necessità di legittimare l’attività della Codex Alimentarius Commission attraverso il rispetto di determinati principi e procedure che assicurino decisioni imparziali e democratiche, attraverso strumenti volti a favorire la trasparenza e un’adeguata e determinante partecipazione della società civile. Su questo aspetto, nonostante lo stato avanzato della CAC, si rinvengono ancora delle criticità: i pareri degli esperti non sono immuni da pressioni o condizionamenti; la fase istruttoria può non essere sufficientemente rappresentativa e plurale; le associazioni della società civile e le ONG non hanno voce in capitolo, essendo solo osservatrici; nella fase decisoria, la possibilità di ricorrere a votazione a maggioranza semplice riduce la rappresentatività del momento deliberativo.

Più in generale, si deve dire che poiché gli standard della CAC possono avere un effetto determinante sulle nostre scelte alimentari di consumatori e considerato che, trattandosi di decisioni prese a un livello extra-nazionale, la catena di comando democratica è molto allungata e spezzettata (i delegati dei vari Stati negoziano e approvano gli standard su delega del governo, che risponde al Parlamento, che risponde al popolo) e che il sistema ha poca pubblicità (quante persone conoscono e sentono parlare con frequenza degli standard della CAC?), il modello presenta ancora un deficit democratico che può essere colmato: aumentando la trasparenza, incrementando i meccanismi partecipativi, rendendo più plurali le procedure decisionali.

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