Fa freddo in questi giorni. E’ arrivato il generale inverno che quest’anno sembra essere molto rigido. Abbiamo passato le vacanze di Natale ognuno nelle proprie case, lontano da tutto e da tutti, a riposarci e riscaldarci, desiderosi di lasciarci alle spalle un anno tanto nefasto e difficile come il 2020.

Il gelo non è soltanto atmosferico ma è soprattutto relazionale: l’altro diverso da me ormai è sinonimo di pericolo di contagio. Ci hanno convinto che il distanziamento personale sia uguale a quello sociale, per cui ci stiamo allontanando sempre più gli uni dagli altri e non solo fisicamente. Il giorno del rientro a scuola, dopo l’epifania che tutte le feste si porta via, la mattina è difficile svegliarsi quando ancora il cielo ha il colore della notte. C’è un pò di traffico in strada, la gente, irrigidita dal freddo è imbacuccata dalla testa ai piedi: sciarpe, guanti, cappelli e le immancabili mascherine.

Sono in bici, fermo ad un semaforo, ancora intorpidito dal sonno, e incrocio lo sguardo di una bambina che è seduta sul seggiolino posteriore di una bicicletta e sta andando molto probabilmente, come me, a scuola. Ci guardiamo, le sorrido ma mi rendo subito conto che non può capirlo perchè ho la mascherina, lei continua a guardarmi e poi mi saluta con la mano. Faccio appena in tempo a ricambiare il saluto perché scatta il verde e prendiamo direzioni diverse. Mi rendo conto che sono contento, che quel sorriso mi ha scaldato più di qualsiasi indumento, che anche salutare un estraneo per strada è diventato un gesto raro, reso poetico dal libro illustrato di Irene Trevisan e Denise Damanti.

Mi accorgo di te, vedo che ci sei, hai la mia attenzione, stabiliamo una relazione, ripenso ancora al significato di un gesto semplice come il saluto che dovrebbe essere spontaneo ma non lo è o almeno non lo è più. Si tratta di buona educazione o di rispetto? Lo chiedo ai miei piccoli studenti appena arrivato a scuola. “Noi ci salutiamo perché siamo contenti di rivederci” mi dicono molti di loro, il saluto è accoglienza e riconoscimento, è fare spazio agli altri ma è anche manifestazione di gioia per chi ritrovo.

Mi viene in mente di proporre a tutta la classe di inventarsi un saluto personale: ogni bambino si inventa un gesto che usa per salutare gli altri. L’idea piace molto a tutti, purtroppo dobbiamo escludere tutti i movimenti che implicano un qualsiasi contatto per cui i gesti si riducono. Ognuno si mette a lavoro e pensa al suo saluto e poi lo condivide con gli altri che osservano. Alla fine della mattinata tutti avevano inventato un loro saluto personalizzato con gesti e anche parole e alla fine della giornata tutti hanno memorizzato il saluto degli altri. Ho trovato che i loro modi di salutare che si erano inventati riflettevano la personalità di ognuno di loro.

Il saluto personalizzato è diventato ormai parte del momento di accoglienza quotidiano che facciamo a scuola appena arriviamo, prima di iniziare le lezioni.

La scuola è anche questo, ricordare agli adulti che ci vuole poco per non sentirsi soli e per riscaldare il cuore dell’altro, bastano un sorriso o un saluto con la mano.

Questo tempo pandemico ci ha privato dei sorrisi ma possiamo usare altri modi per dedicare agli altri un gesto di gentilezza e di accoglienza. Sarebbe bello riscoprire gesti antichi, ritrovare l’attenzione per l’altro, chiunque esso sia, non è solo questione di buona educazione, è soprattutto questione di rispetto e perchè no, di questi tempi, di coraggio.

I bambini sono più coraggiosi di noi perché salutano con molta più facilità, non temono di non essere ricambiati, sono più generosi, dispensano saluti e sorrisi a tutti, anche a chi non conoscono. Impariamo da loro quanto può dar calore un semplice saluto.

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