Nei primi mesi di questo 2022 sono diventata freelance, ormai credo lo sappia persino chi mi legge per la prima volta. Quello su cui non ho posto più di tanto l’accento, concentrata come si conviene a valorizzare i risultati professionali, sono le motivazioni personali che mi hanno spinta al cambiamento, come ammettere di aver preso questa decisione (anche) per andare in ferie.

Sembra paradossale nell’epoca degli stipendi troppo bassi, del costo della vita alle stelle, della precarietà e del mito degli imprenditori di sé stessi che fatturano persino quando dormono, ma nella coesistenza di paradossi improbabili ho costruito buona parte della mia esistenza.

Le ferie? Un diritto contrattuale da pretendere (e da elargire)

Il fatto è che in dieci anni di lavoro non ho mai avuto il piacere di programmare le ferie quando volessi. Prima perché ero stagista e “cara ringrazia che ti diamo i quattro giorni a cavallo di Ferragosto, altrimenti addio rimborso spese”. Poi sono diventata tirocinante, precaria, l’ultima arrivata che si deve adattare, quella che “sul serio hai bisogno della licenza di matrimonio? Perchè se proprio devi, sappi che non ti concedo nemmeno un giorno in più”, la neomamma con “troppi mesi ingiustamente retribuiti”, l’addetta al ricevimento di pacchi e lettere indispensabili ad agosto.

I pochi giorni concessi, oltre ai periodi di forzata chiusura secondo esigenze che, neanche a dirlo, non erano le mie, erano sempre elargiti con discorsi paternalistici e conditi da occhiatacce di biasimo desiderose di ringraziamenti per l’enorme regalo concesso. Il risultato? Dopo i primi dodici mesi in un nuovo posto di lavoro mi ritrovavo con un monte ore inutilizzato e inutilizzabile, in continua crescita. Peccato che le ferie siano, a tutti gli effetti, un diritto contrattuale.

Il lavoro nella società della performance

Mai come quest’anno, partita finalmente secondo esigenze familiari ma con tablet a portata di mano a sottolineare inevitabilmente la nuova connotazione della mia professione, mi sono resa conto di quanto il lavoro sia diventato in realtà uno status, più che un mezzo per sostentarsi e, per i più fortunati, togliersi qualche sfizio.

Le conversazioni sotto l’ombrellone, tra conoscenze improvvisate e telefonate rigorosamente in vivavoce, vertevano tutte sull’impiego attuale, sul denaro guadagnato, su quello speso per il soggiorno estivo, sul lavoro terminato e quello da programmare direttamente dalla spiaggia, per non perdere troppo tempo al rientro.

Una vetrina di successi e possibilità che non lascia scampo, misurando tutti tramite parametri ormai tristemente interiorizzati da buona parte della società. Ovviamente lo spunto per capire che qualcosa non funziona in questo modo di intrecciare relazioni non è arrivato dal nulla, ma è frutto di un’attenta e ripetuta lettura, tra gli altri, degli spunti che Maura Gancitano e Andrea Colamedici condividono sui canali social di Tlon.it, progetto editoriale e comunicativo a scopo divulgativo della cultura filosofica e molto legato alla salute della nostra società.

Post come “Contro la motivazione”, “Gli effetti della competizione sui social”, “Chi non si ferma è perduto”, per citarne solo alcuni degli ultimi, non solo scardinano il mito della produttività h24, riflettendo sulle motivazioni per cui siamo portati a compiere determinate scelte e azioni, in ambito professionale e personale, ma fotografano senza sconti un modello di esistenza sempre più diffuso e non così stereotipato come inizialmente potrebbe sembrare. 

Come liberarsi dalle insidie
della società della performance

Gancitano e Colamedici lavorano da anni sul tema, e nel 2019 hanno raccolto le loro riflessioni nel libro La società della performance, edito ovviamente da Tlon Edizioni. Un testo di facile accesso anche per chi non ha alle spalle una solida cultura filosofica come gli autori, che ruota attorno ad un delicatissimo interrogativo: 

Come possiamo ritrovare la dimensione sacra e autentica dell’esistenza senza rimanere impigliati nelle maglie della società dell’immediatezza?

La buona notizia è che è possibile, seppure serva impegno, costanza e consapevolezza nell’approcciare i messaggi e i modelli che quotidianamente ci vengono sottoposti, esplicitamente o meno. Gancitano e Colamedici non hanno paura di sostenere tra l’altro che l’ideale di continua produttività, l’iperconnessione, lo sbilanciamento della vita a favore della sfera lavorativa a discapito, parziale o totale, di quella personale, non siano né evoluzione né liberazione, ma un rischio per le singole persone, sempre più equiparate a brand da promuovere online.

Un rischio che molti stanno ora scoprendo di non essere disposti a correre, a partire dalla pretesa di contratti chiari e di queste benedette due settimane improduttive consecutive all’anno, che sono davvero il minimo necessario per ricordarci le nostre vere priorità.

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