Il corpo e lo sguardo, l’attore nel cinema della modernità. Un saggio sul complesso ruolo dell’attore
Dal Neorealismo alla Nouvelle Vague, un saggio sul complesso ruolo dell'attore tra divismo e autenticità dei sentimenti.
Dal Neorealismo alla Nouvelle Vague, un saggio sul complesso ruolo dell'attore tra divismo e autenticità dei sentimenti.
Nel panorama della vasta letteratura cinematografica, densa di saggi e approfondimenti, latitano, almeno in Italia, studi che approfondiscano la figura dell’attore. Per fortuna ci viene in soccorso il recente testo edito da Marsilio, Il corpo e lo sguardo. L’attore nel cinema della modernità di Alberto Scandola, docente di Storia e critica del cinema e Analisi del testo filmico presso l’Università di Verona.
L’attore nel cinema moderno assume un ruolo più complesso e variegato rispetto al passato e restituisce dubbi e frammenti di realtà, la scissione tra personaggio e l’attore si confonde; Scandola ricorda come: «Se guardare non significa più vedere, ma mantenere nei confronti di ciò che si filma un “margine di indefinito”, recitare – in un cinema che ha cercato di reinventare il cinema – non significa più soltanto imitare gesti, movenze e psicologia di un personaggio immaginario, ma anche esibire davanti alla cinepresa la pesantezza, la verità e l’opacità di un corpo che desidera vivere la propria vita, e non quella del personaggio».
Il testo si sofferma su alcune figure attoriali del cinema europeo, in particolare Anna Magnani e Massimo Girotti e, nei capitoli successivi, Delphine Seyrig e Jean-Pierre Léaud appartenenti alla Nouvelle Vague. Il testo si conclude su alcune figure chiave del divismo come Marcello Mastroianni, Catherine Deneuve, Gérard Depardieu e Isabelle Huppert.
Lo studioso veronese analizza con dovizia i diversi rapporti tra divismo, autenticità e scarto tra attore e personaggio, approfondendo il tema del corpo dell’attore e del complesso rapporto tra regia e direzione attoriale.
Anna Magnani è costretta a svincolare dalla recitazione dagli accorgimenti attoriali per ricercare l’autenticità dei sentimenti, operazione tutt’altro che semplice perché come ricordava Rossellini: «Lei era una vera attrice drammatica. Il pericolo era che recitava troppo. Si sente che è molto capace, ma in certi film è eccessiva. Se mangi troppo gelato, dopo un po’ non ne puoi più».
I punti di vista sulla figura dell’attore si radicalizzano con Robert Bresson, nel testo Note sul Cinematografo ricorda come: «Niente attori niente direzione d’attori. Niente parti. Niente studio delle parti. Niente regia. Ma utilizzazione di modelli presi dalla vita. Essere invece di parere».
In un’intervista del 1965 il cineasta francese afferma: «Non voglio chiamarli attori, dal momento che attori non sono. […] Sono esseri ai quali mi avvicino come a un tesoro prezioso ma in nessun modo posso considerarli attori o interpreti. E poi io non chiedo mai ai miei protagonisti di essere un personaggio, ma di essere se stessi senza pensare neppure per un attimo che sono invece quel personaggio che io ho concepito».
Se la posizione di Bresson è radicale la Nouvelle Vague «[…] sembra inseguire l’emozione della verità, visto che recitare altro non è che “ciò che capita durante le riprese mentre si è impegnati a fare altro” […] ». Saltano i confini tra attore e personaggio che si (con)fondono.
Uno dei capitoli più interessanti si occupa dell’erranza e della fuga, l’attore si esprime errando: «Torniamo ora a ragionare sulla recitazione intesa come parusia dell’attore, il quale rivelerebbe la sua verità proprio attraverso lo smarrimento dovuto alla non conoscenza dei dialoghi e della psicologia del suo personaggio. Una delle strategie più utilizzate dalla Nouvelle Vague (ma anche da autori quali Bertolucci o Ferreri) per cogliere quella verità è quella di far muovere gli attori, farli errare tra se stessi e il personaggio, tra la loro storia e quella del film senza comunicare loro precisamente dove andare, cosa dire o con quale velocità attraversare una strada. Come ha osservato Giorgio De Vincenti, il cinema moderno non è solo un cinema esistenziale, ma anche un cinema di viaggio, avventura della conoscenza». Un atteggiamento da flâneur così bene espresso in quel piccolo capolavoro di Robert Walser La Passeggiata.
Scandola affronta con dimestichezza la figura dell’attore mettendo a proprio agio il lettore, e così facendo ci offre un volume con un esposizione agile e variegata non dedicato solo agli addetti ai lavori ma indirizzato anche ai fruitori più curiosi, che non si accontentano di analisi superficiali e desiderano un approfondimento più consapevole su questi temi.