(English translation below)
Anche chi arriva dalla Russia per occupare compie un viaggio. Ma, come nei brevi video ripresi per chi è rimasto a casa dal telefono di un giovane ufficiale russo, la pellicola L’occupante di Mikhailo Tkach e Andriy Ignatenko pare appartenere più alla categoria del ladro di polli che del cosmopolita.

Il cortometraggio, distribuito da Pravda Ucraina, è una delle tante variazioni sul tema disponibili in rete: il tema è la guerra e la sua banalità, la mediocrità dei suoi protagonisti, ma anche il suo viaggio. L’apparenza però inganna, perché il viaggio dell’invasore è cominciato dopo un altro, ben più trasformatore, che è quello della società ucraina. 

Molti degli esperti di questa guerra sono convinti che per evitarla ieri e per risolverla oggi, la ricetta sia quella del mondo nel quali si sono formati, quello della guerra fredda: senza indugiare troppo nel distinguere fra vittima e aggressore, occorre riconoscere sfere d’influenza e spazi vitali, e ottenere una pace intorno a una linea di demarcazione per assicurare un certo equilibrio all’area contesa.

Commettono uno sbaglio nel non prendere in considerazione la realtà di una società che è in viaggio, che ha un suo punto di partenza ma guarda altrove. Questa è l’Ucraina, un mondo radicato da secoli nello spazio russo e poi sovietico, con Kiev anticamera di Mosca.

Tuttavia, a partire dai primi anni del XXI secolo, l’Ucraina si è messa in marcia, verso occidente. Si è sentita di farlo quando è arrivata una nuova generazione, quella dei ragazzi di Maidan. Sventolando le bandiere europee, hanno voluto partire, hanno voluto spostare l’intero paese verso ponente, e hanno tracciato una cesura con l’appartenenza al modo rurale: cittadina e in viaggio, così è voluta diventare l’Ucraina. Nel suo movimento, la società ucraina diventa la classe media dell’ex-URSS, ha rifiutato l’eredità di una radice campagnola e stanziale del granaio d’Europa. 

Non a caso a differenza della Russia, l’Ucraina è un paese di emigranti, con una diaspora ramificata dal Canada all’Europa, e così questa guerra diventa la somma di tutte le tipologie: imperialista, tribale, tecnologica nei cieli dei droni e arcaica nelle trincee di terra, etnica e linguistica, religiosa per Cirillo l’omofobo multimiliardario; una guerra di comunicazione e di diritto internazionale, di sanzioni e di materie prime, una  guerra che finirà nei manuali della Corte Penale Internazionale.

Per ora l’ultima guerra da guerra fredda e la prima sul continente europeo. Ma anche la guerra di chi ha voluto mettersi in viaggio in una nuova storia e di chi è rimasto fermo e pretende che i suoi antichi sudditi non si muovano – la guerra tra pastori e contadini, tra nomadi e stanziali, la guerra di chi guarda al futuro e chi è avvinghiato al suo passato, la guerra di chi, come si vede in una foto nel libro di Silver Meikar, Oranzi revolutsiooni päevik, pur senza gambe si trascina per strada col fiocco arancione (e per la propaganda russa ripresa anche da tanti italiani, questo sarebbe parte del colpo di stato di Madian) e della lapidaria definizione del pittore impressionista ucraino Grigoriy Shyshko, che restava come sbigottito al cospetto dei fantasmi del grande vicino: “La Russia è un paese dal passato imprevedibile”. Un passato dalle tante reincarnazioni, ma come immobile. 

ENGLISH VERSION

The short film ‘The occupant’: the war between those who travel and those who remain stationary

From the mobile phone of a captured soldier, the short film ‘The Occupant’ reveals the bitter journey of a captured Russian soldier. But the invader’s journey began after another, much more transformative: that of Ukrainian society.

Even those who come from Russia to occupy make a trip. But as in the short phone videos shot for the family back at home by a young Russian officer, The Occupant by Mikhailo Tkach e Andriy Ignatenko seems to belong more to the category of the chicken thief than the cosmopolitan. The short film is one of the many variations on the theme available online: the theme is war and its banality, the mediocrity of its protagonists, but also its journey. Yet,  appearances are deceiving, because the invader’s journey began after another, much deeper, the one of the Ukrainian society.

Many of the experts of this war are convinced that in order to have avoided it yesterday and to resolve it today, the recipe is that of the world in which they were grow up, the cold war: without delaying too much in distinguishing between the victim and the aggressor, it is necessary to recognize spheres of influence and living spaces, and achieving peace around a dividing line to ensure a certain balance in the disputed area. They make a mistake in not taking into consideration the reality of a society that is traveling, that has its starting point but looks elsewhere.

This is Ukraine, a world rooted for centuries in Russian and then Soviet space, with Kyiv being the antechamber of Moscow. However, starting in the early years of the 21st century, Ukraine has set off toward the west. It did start with the arrival of a new generation, the young people of Maidan Square. Waving the European flags, they wanted to leave their past, more exactly they wanted to move the whole country to the west, and they traced a break with the belonging to a rural culture: urban and on the move, this is how Ukraine wanted to become. In its transformation, Ukrainian society became the middle class of the former USSR, and has rejected the inheritance of the farming and sedentary root of the European granary.

It is no coincidence that, unlike Russia, Ukraine is a country of emigrants, with a lively diaspora from Canada to Europe and Australia, and so this war becomes the sum of all types: imperialist, tribal, and technological in the skies of drones and archaic in the trenches of ground, ethnic and linguistic, even religious for Cyril the multimillionaire homophobe; a war of communication and of international law, of sanctions and of raw materials, a war that will end in the manuals of the International Criminal Court. For now, the last cold war and the first on the European continent.

But also the war of those who wanted to set out on a journey into a new history and in those who remained stationary and demanded that their ancient subjects do not move – the war between shepherds and peasants, between nomads and permanent ones, the war of those who look to the future and who is clinging to his past, the war of who, as seen in a photo in the book by Silver Meikar, Oranzi revolutsiooni päevik, even without legs one can drag along the street with an orange bow (and for the Russian propaganda also taken up by many Italians, this would be part of the alleged coup d’état in Madian) and of the lapidary definition of the Ukrainian impressionist painter Grigoriy Shyshko in front of the ghosts of his great neighbor: “Russia is a country with an unpredictable past”. A past with many reincarnations, but at risk of being immobile. 

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