Solitamente scrivo per raccontare un certo cinema fatto di pellicole sconosciute, dive dimenticate, brividi e mostri. Ma questa volta voglio provare a sfruttare il medium cinematografico per descrivere la convivenza quotidiana con una malattia cronica, subdola e aggressiva. Una riflessione personale che però non vuole suonare come una condanna, ma proporre un punto di vista diverso che contribuisca a tradurre visivamente quello che le parole non riescono a spiegare. Proiettare un dolore lacerante che però non è visibile, spesso viene sottovalutato e poco compreso.

La creatura in questione si chiama endometriosi profonda infiltrante. Ho deciso di parlare di lei in questo momento perchè marzo è il mese della consapevolezza sulla malattia, con il fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sui danni che procura colpendo solo in Italia 3 milioni di donne sin dall’adolescenza. In comune con le patologie rare ha il percorso di diagnosi: ancora oggi le donne affette da endometriosi devono affrontare lunghi e devastanti iter per arrivare a dare finalmente un nome ai tanti sintomi che compromettono notevolmente la loro qualità di vita. Subiscono diversi interventi chirurgici (spesso demolitivi) e si ritrovano a convivere per tutta la vita con un’inquilina che ad oggi non si è trovato ancora il modo di sfrattare definitivamente.

Ma cos’è l’endometriosi? E’ una malattia che parte dall’endometrio uterino (come si evince dal nome), logora dall’interno, altera e modifica l’anatomia del corpo, crea formazioni anche di grandi dimensioni, riduce o impedisce la funzionalità degli organi coinvolti (non solo quelli dell’apparato riproduttivo, ma anche vescica, reni, ureteri, intestino, diaframma, polmoni), procura emorragie interne, danneggia in maniera irreparabile i tessuti procurando talvolta anche danni neurologici ed è accompagnata quasi sempre da una sintomatologia molto dolorosa.

Come spiegarla se dall’esterno non si vede? Come descrivere la sua autonomia nello svilupparsi e crescere nella cavità addominale? Ma soprattutto: il cinema cosa c’entra? I film sono proiezione della quotidianità più o meno romanzata e in questo caso possono fungere da strumento per tradurre una sensazione in racconto per immagini. Ma allo stesso tempo il cinema può essere anche un esercizio di catarsi che vale un pò per tutte le patologie. Visualizzarla può essere un ottimo punto di partenza per iniziare a combatterla, immaginarla con toni grotteschi per me è stato il primo passo per stemperare le preoccupazioni e sdrammatizzare i momenti più difficili.

Potenzialmente la questione poteva essere affrontata attraverso due grandi filoni del cinema: il cinema di fantascienza e la possessione demoniaca, ma senza ombra di dubbio il primo si presta molto di più. In fondo si tratta di un qualcosa di alieno che cresce e si fonde al corpo, non esiste esorcismo per estirparlo. Ma è indubbio che la sintonia più evidente arrivi dal body horror (detto anche horror biologico), sottogenere in voga intorno agli anni ottanta che colpisce lo spettatore attraverso la rappresentazione di deformità fisiche del corpo; temi ricorrenti sono, per esempio, mutazioni genetiche, malattie deturpanti e tutto quello che crea un’alterazione evidente del corpo.

Ed in questo senso la filmografia David Cronenberg è perfetta. Durante le innumerevoli visite pensavo alle sequenze di Inseparabili (1988) in cui Beverly ed Elliot Mantle, gemelli monozigoti e affermati ginecologi, mettevano in pratica l’interesse maniacale per la costruzione di bizzarri strumenti per l’esplorazione delle pelvi femminili.

Dal regista canadese ho mutuato anche il titolo del mio pezzo che ben descrive la sensazione che mi suscita pensare all’endometriosi, Il demone sotto la pelle (1975) appunto.
Per descriverla proporrei una filmografia della patologia, inaugurando nel contempo un gesto liberatorio, che conterebbe titoli come L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel (1956) (includendo anche i remake, Terrore dallo spazio profondo (1978), Ultracorpi – L’invasione continua (1993) e Invasion (2007), per rendere la sensazione di destabilizzazione causata dal’inpossibilità di tenerla a bada e lo straniamento che ne consegue.

Horror express (1974), La cosa da un altro mondo (1951) ed il suo remake omonimo di John Carpenter sono fondamentali per raccontare lo stravolgimento fisico che riesce a mettere in atto.
E non poteva mancare Alien (1979), capolavoro di Ridley Scott, con il suo xenomorfo progettato da H.R. Giger. Concordo con Ash, l’ufficiale scientifico sulla nave cargo USCSS Nostromo, nel definire la creatura aliena «Un perfetto organismo, la sua perfezione strutturale è pari solo alla sua ostilità… un superstite, non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità».
Ed infine Blob il fluido mortale che rende perfettamente l’atteggiamento metastatico, progressivo di questa malattia così subdola che con il suo aspetto gelatinoso arriva ad incollare ed infiltrate gli organi con cui viene a contatto.


In Italia sono affette da endometriosi il 10-15% delle donne in età riproduttiva; la patologia interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficoltà a concepire. Le donne con diagnosi conclamata sono almeno 3 milioni. Ci vogliono circa 9 anni per una diagnosi certa. In media ogni donna subisce da due a quattro interventi chirurgici, gran parte demolitivi e invalidanti.
Non esiste una cura definitiva.
Un numero imprecisato di donne affette da endometriosi perde il lavoro a causa della malattia. Quanti numeri. Troppi per non parlarne.

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