Lo scorso mese sulle pagine di questa rivista ho parlato di due casi emblematici, e tra loro diversi, di violenza ai danni delle donne. Quello del mondo dello spettacolo che coinvolge un considerevole numero di attrici vittime di violenza sul luogo di lavoro e quello della politica, in cui molte iniziano a dichiarare la misoginia dei propri partiti e dirigenti.

In entrambi i casi abbiamo potuto comprendere come funziona il cosiddetto sistema, e di come, in qualunque contesto, le donne vengano usate e mai valorizzate.
Le denunce sono aumentate e molte più donne hanno trovato la forza per raccontare la propria esperienza.

Talune lo fanno affidandosi ai giornali, si veda il caso di Valentina Cuppi attuale Presidente del Pd, che in un’intervista a Repubblica ha denunciato il maschilismo ancora presente nel partito, altre si affidano a segnalazioni anonime, (è il caso delle lavoratrici di Acea contro l’Ad Palermo), ed altre ancora a confidenze che tuttavia non trovano la giusta forza per uscire allo scoperto.

Quanti di noi, almeno una volta, hanno ascoltato il racconto di amiche e colleghe vittime di un sistema che le vede sempre meno competenti dei colleghi uomini, meno adatte a percorsi di carriera, inadeguate, troppo giovani, troppo avvenenti, troppo intelligenti, troppo umorali o addirittura troppo formose? Perlopiù adatte a tacere, sopportare, non replicare, non pretendere, non domandare, non avere un’opinione e accettare qualsiasi cosa, altrimenti, si sa, il sistema ti espelle come un corpo estraneo. Prima di raccontarvi due storie qualunque di misoginia e abuso di potere, facciamo un passo indietro per capire cos’è il sistema e quali sono le sue regole.

Il sistema e le sue regole

Ogni contesto sociale ha delle regole. La società stessa sussurra all’orecchio di donne di qualunque età cosa devono fare, sopportare e non denunciare perché nessuno crederà ai loro racconti e nessuno le aiuterà a difendersi.

Per capire le regole del sistema ci torna utile parlare del caso Acea e del suo Ad, Fabrizio Palermo, accusato da molte dipendenti di trattarle come serve. Si racconta di campanelli per convocarle in stanza, della pretesa di essere servito con frutta già sbucciata, dell’obbligo di usare i tacchi e del divieto di avere attorno quelle dipendenti che non rispettano i canoni estetici dell’Ad.

Quindi, stando alle denunce anonime raccolte, attorno a lui erano ammesse solo donne magre e disposte ad essere trattate come schiave. Pochi giorni dopo l’uscita sui giornali delle denunce anonime delle dipendenti, il cda dell’azienda, a prevalenza maschile, si è riunito per confermare piena fiducia in Palermo, ritenendo che le accuse mosse nei suoi confronti sono fumose e quindi prive di fondamento.

Ecco in cosa consiste il sistema: è una barriera che si erge a protezione degli uomini e mai a tutela delle donne.
Poco più tardi sono arrivate le dimissioni di Michela Castelli, la presidente di Acea.

Si tratta di un caso? Oppure, tra i motivi personali che l’hanno formalmente condotta a rassegnare le proprie dimissioni vi sono ragioni legate alla conoscenza delle pratiche usate da Palermo? Sarà la magistratura a stabilirlo. Noi ci limiteremo ad osservare come si muove pubblicamente il sistema.

Adesso, capito che il sistema ha difese altissime ed un meccanismo di protezione collaudato e sistemico, che tende a proteggere sempre gli uomini da qualunque accusa, posso iniziare a raccontare una storia. Più di una. Ma la storia di molte.

Donna 1: Per molti anni ho lavorato in politica. Per alcuni politici, o meglio per un gruppo in particolare. Ricordo di non aver mai avuto la sensazione che a loro importasse minimamente di me, sia come professionista che come persona. Nel nostro gruppo hanno sempre avuto maggior peso gli uomini, anche se senza esperienza o mediocri, bastava fossero maschi per far carriera.

Donna 2: Da due anni sono l’assistente di un noto professore e se all’inizio pensavo di essere stata fortunata e di aver trovato la mia dimensione professionale, presto ho scoperto di essere finita nelle grinfie di un misogino arrogante che mi impone di stare in silenzio, di non commettere mai errori, di non avere espressioni e di non replicare alle sue provocazioni. Punizione, la mortificazione pubblica di fronte agli altri colleghi e l’umiliazione di sentirmi dire che sono sbagliata, inadatta, idiota e pazza. Solo perché trapelava dal mio sguardo disappunto quando durante una delle sue quotidiane scenate urlava nei corridoi della clinica. Quante volte mi ha urlato “tu non vali niente!”. Ho perso il conto.

Donna 1: Ricordo quando due di loro, due figure di rilievo di quel partito, scommisero su chi per primo mi avrebbe portata a letto. E non gli disturbava sapere che io ne fossi a conoscenza. Ovviamente hanno perso entrambi. Ma ho perso anche io, perché man mano sono stata esclusa e usata solo per attività marginali mentre anche l’ultimo arrivato nella squadra veniva spinto, protetto ed esaltato solo perché uomo. Ed ogni volta che cambiavamo collocazione, venivo inquadrata con incarichi che loro gestivano, senza nemmeno domandarmi se fossi contenta o d’accordo con la loro scelta, come fossi una marionetta nelle loro mani e sempre disposta a dire sì. Ed alla fine mi hanno fatta fuori. Come molte altre che non seguivano le regole del sistema. Ricordo le molte vessazioni subite e che sento ancora oggi conficcate in gola.

Donna 2: Quando entro nella sua stanza non posso portare con me nessun dispositivo. Teme di essere registrato. Solo carta e penna e solo in piedi di fronte a lui. Ma non sono la sola ad aver subito tutto questo. Ho scoperto che prima di me in molte sono scappate dopo aver accusato attacchi di panico e depressione. Parlando con una mia amica ho scoperto che tutto questo ha un nome, si chiama mobbing. Ma mica posso denunciarlo. Non me lo posso permettere. Lui è famoso, io no. Lui è ricco, io con lo stipendio ci pago a malapena le spese.

Donna 1: Ricordo quando ho lavorato per loro in luoghi istituzionali senza contratto e senza essere pagata. Tutto questo è durato per mesi. Eppure lavoravo per loro, all’epoca per uno in particolare, ed ogni volta che da lui cercavo chiarimenti e rassicurazioni mi rispondeva che il contratto stava arrivando e che era una questione di giorni. Ho ascoltato le loro battute sessiste, gli ho portato il caffè per quanto non fossi tenuta a farlo. Ma quando rispondevo al telefono sentivo dirmi “portaci tre caffè”. È ovvio che me ne sarei dovuta andare. Ma ho avuto paura. Ricordo anche che uno di loro, lo stesso della scommessa, all’inizio di questa esperienza mi chiamava per andare a pranzo con lui e che quando ha capito che questa gentilezza non sarebbe mai stata ripagata con la mia disponibilità sessuale, ha smesso di chiamarmi. Ricordo molte cose che in verità vorrei solo dimenticare adesso che sono fuori dal giro.

Donna 2: Mi sveglio nel cuore della notte e sento la sua voce. Il professore mi segue sui social e più di una volta mi ha sgridata per quello che avevo pubblicato. Diceva che sono una scema e che quello che faccio io si ripercuote su di lui. Non si trattava di foto intime ma solo di foto con amici ed amiche in locali ed in serate di tranquilla convivialità. Sta di fatto che adesso non pubblico più niente.

Donna 1: Ricordo che molte di noi nonostante avessero avuto la fortuna di ricoprire formalmente degli incarichi di prestigio, avevano solo il compito di portare i loro abiti in lavanderia, comprare la carta igienica per i loro appartamenti romani, pagargli le bollette, prenotare i ristoranti e di coprirli con le rispettive mogli, quando organizzavano fughe maschili in “luoghi del piacere” oltreconfine. Eravamo parte di un sistema che ci schiacciava, mortificava e usava in ogni senso. E molte delle mie ex colleghe erano e sono convinte che tacere su quello squallore fosse un dovere, perché si sentivano in debito con gli uomini che avevano dato loro un posto di lavoro, nonostante fossero delle donne e soprattutto nonostante non pretendessero nulla di più da loro.

Donna 2: Tutti i miei colleghi sono diventati col tempo isterici, irascibili. Vivere in quello studio è come vivere in prigione. Ti toglie tutto e quando alla sera esco da lì, mi chiedo chi sono diventata per accettare di essere mortificata così tanto solo perché donna. Forse ha ragione il professore quando mi dice che dovrei baciare la terra su cui cammina.

Donna 1: Adesso che non lavoro più in quel contesto, non per mia diretta scelta, mi sento libera ma allo stesso tempo sento che la vera liberazione arriverà quando avrò la forza di raccontare tutto senza filtri. Ciò che mi ha sempre stupita è sapere che tutti loro non hanno mai temuto la mia reazione. Quasi pensassero che non ne sono capace. Forse perché ci hanno sempre sottovalutate. Ma devono sapere che sbagliano. Lo capiranno.

Donna 2: Non mi licenzio perché non ho altra alternativa. Se sapesse che sto cercando di avere un figlio penso che si infurierebbe. Lui predilige avere assistenti docili, senza ambizioni personali ed ogni volta che faccio le analisi mi chiede di poterle visionare anche lui. All’inizio pensavo fosse una gentilezza, poi ho capito che voleva solo controllarmi.

Ecco cosa fa il sistema. Deforma la realtà, schiaccia l’ego delle vittime e rende gli uomini, quegli uomini, sempre più potenti e miseri agli occhi di chi riesce ad osservare i loro tatticismi.

Donna 1: Ricordo anche che tutte le novizie inserite nel gruppo, dal tale che mi offriva i pranzi, sono poi state piazzate in posti sicuri ed in alcuni casi candidate, a dispetto di chi la gavetta politica l’ha condotta seriamente, ma solo dopo essere state le loro amanti.

Il sistema ha regole non scritte. Una di queste sembra essere: “dare per ricevere”.

Donna 1: Ricordo anche che nel nostro gruppo c’erano donne convinte complici di questi aguzzini, che li giustificavamo e che ci ricordavano spesso le regole di quel sistema.

Quest’ultime sono le donne che contribuiscono a tenere in vita questo sistema. E questi sono racconti qualunque, di donne qualsiasi il cui nome e volto non sono importanti. Addirittura potrebbero essere racconti di fantasia anche se tutti noi sappiamo perfettamente, specie le donne, che di episodi così è piena la nostra quotidianità. E che tutto ciò capita in ogni contesto lavorativo proprio perché è un sistema radicato, diffuso e contro il quale non stiamo ancora facendo abbastanza.

Adesso è importante capire che questo sistema esiste, ci coinvolge tutti e rispetto ad essoognuno di noi può scegliere da quale parte stare. Se col sistema o contro il sistema.
A tale proposito ci racconta molto del sistema maschile di potere il film She Said diretto da Maria Schrader e che tratta la storia delle giornaliste del New York Times che hanno raccontato per prime lo scandalo degli abusi sessuali nel cinema che ha visto coinvolto il potente produttore holywoodiano Harvey Weinstein, e che è stato fondamentale per lanciare il movimento americano del #MeToo.
Tacere non è più possibile.

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