È iniziato un nuovo anno e la vita delle donne, specie nel mondo del lavoro e della politica, continua ad essere la stessa, piena di discriminazioni e misoginia.
Non dimentichiamo le analisi ed i dati che da anni raccontano la situazione che le donne vivono a livello globale ed in Italia.

Ricordo quelli resi noti col Global Gender Gap Report 2022 secondo il quale ci vorranno ancora 132 anni per colmare il divario di genere globale, che la parità di genere nella partecipazione alla forza lavoro è andata lentamente diminuendo dal 2009, e che negli ultimi anni i tassi di disoccupazione sono aumentati in netta prevalenza per le donne, soprattutto nel nostro Paese. A ciò si aggiunga che le donne sono quasi completamente assenti dalla vita politica italiana.

È noto che nell’ultima tornata elettorale sono state elette poche donne, appena il 31% del totale (186 su 600), in calo rispetto alla passata legislatura (dati Senato e dati Camera).
Consideriamo anche che la percentuale massima mai raggiunta di donne in Parlamento è stata del 35%. Ciò dipende sia dalla legge elettorale che dalle scelte dei partiti, guidati quasi tutti da uomini.

In entrambi i casi, appare complicato pensare come qualcosa possa cambiare se a scegliere sono sempre gruppi di uomini che portano avanti solo i propri interessi di genere a discapito della metà della popolazione nazionale.

Tuttavia, da parte delle donne, qualcosa sta cambiando soprattutto
a livello di consapevolezza


Ne sono la riprova due recenti notizie: la prima relativa al dossier appena uscito grazie ad Amleta, il collettivo di attrici che denuncia le violenze nel mondo dello spettacolo e la seconda che riguarda le dichiarazioni di una ex deputata del partito democratico, Alessia Morani, che senza timore ha definito il suo partito maschilista.

Per quanto siano due contesti completamente differenti, le logiche che li governano sembrano essere simili, a tratti sovrapponibili. Sia nel mondo dello spettacolo sia nella politica, gli uomini rivestono ruoli di comando e spesse volte abusano di questa posizione per emarginare le donne ovvero per ricattarle, abusarle o indurle a essere nei loro confronti disponibili e compiacenti.

Leggendo il report Apriamo le stanze di Barbablù pubblicato lo scorso 16 gennaio, i dati sono agghiaccianti. In due anni sono stati registrati 223 casi di abusi sessuali, commessi sul luogo di lavoro e durante i quali le vittime dichiarano di essersi sentite riferire frasi di questo tenore:

Tu sai che questa è una gabbia di leoni. Ragazze come te farebbero di tutto per diventare attrici. Di tutto. Tu sei disposta a fare di tutto?”, “Vuoi fare l’attrice? E allora non sei tu a decidere cosa mostrare di te”, “Devi esercitarti a sedurre me per riuscire poi a sedurre un pubblico”.

In 75 anni solo il 6,56% delle donne
è stato nel Governo

Nella politica le cose non migliorano, siamo il 36esimo Paese su 146 per numero di donne in Parlamento, 32esimo per numero di ministri donne ed ultimo per numero di leader donna. In 75 anni di storia repubblicana, dal Governo De Gasperi 2 al Conte 2, su 4.864 presidenti, ministri e sottosegretari che hanno giurato al Colle, appena 319 sono state donne. Il 6,56% del totale.

Ma forse qualcosa sta maturando nella consapevolezza di molte donne che non sono più disposte ad accettare in silenzio di essere escluse e criticate solo per il loro genere. Mi ha colpita la denuncia coraggiosa di Alessia Morani, che dopo aver pubblicato sui propri social una foto che la ritraeva al ristorante ed essere stata criticata ed insultata pubblicamente anche da colleghi di partito, ha deciso di uscire finalmente allo scoperto e di dire a gran voce che il Partito Democratico di cui fa parte è maschilista e che al suo interno vigono regole antiche come la pietra.

La prima è, come racconta la Morani, che si preferisce sempre un uomo mediocre ad una donna brava e competente, come ha dichiarato di recente a Le Iene.
Tuttavia, ed è l’altra cosa che più mi ha colpita del caso PD, è che le manifestazioni di solidarietà di uomini e compagni di partito, sono avvenute tutte privatamente.

Nessuno, nemmeno il segretario uscente, ha espresso solidarietà nei suoi confronti a livello pubblico prendendo le difese della Morani e di tutte le altre donne escluse dalle logiche del partito e condannando colui che l’ha offesa e criticata per il suo aspetto o molto più semplicemente per il suo genere.

Questo certamente accade perché condannare equivale a prendere posizione, una posizione che nessuno vuole rendere pubblica. Ma perché? Forse perché ammettere di essere parte, in qualità di segretario uscente, in corsa per la segreteria, come componente dell’assemblea, parlamentare, militante o simpatizzante, di un partito a tutta evidenza maschilista e misogino aprirebbe le porte ad una discussione che per coerenza li vedrebbe tutti complici di un sistema che ha fatto e fa ancora di tutto per ostacolarle, dal circolo di paese alla segreteria nazionale.

Anni spesi a raccontare di essere qualcosa che non si è nella realtà, a fare scelte sempre a sfavore delle donne, come se non fosse mai il loro tempo e il giusto luogo in cui stare.
Purtroppo il partito democratico non è il solo ad essere a misura di maschio. Nell’arco parlamentare si riconoscono ad occhio nudo i partiti nei quali le donne sono usate ed il loro ruolo viene strumentalizzato, nei quali gli uomini, specie quelli mediocri, sono sempre un passo avanti e dove le uniche e poche beneficiate spendano più tempo a criticare le colleghe che a creare occasioni per quelle che ancora siedono ai margini.

Come se ciascuna di loro dovesse dimostrare a colui che l’ha scelta di essere complice di un sistema che farà di tutto per escludere le altre donne o peggio ancora che usano la propria immagine per rafforzare lo stereotipo della donna da copertina che non baratterà mai la propria posizione in favore di una lotta fatta in nome di tutte le altre donne.

Quanta strada ha ancora da fare
il movimento femminista

Come fare per essere meglio e sufficientemente rappresentate? Anzitutto, dobbiamo imparare a scegliere i partiti non tanto sulla base degli slogan da campagna elettorale bensì analizzando sotto la lente d’ingrandimento tutte le scelte fino a quel momento compiute da quella forza politica. Questo servirà ad escludere i partiti in cui il ruolo di presidente, tesoriere e leader è affidato agli uomini, quelli che si professano femministi salvo poi candidare le donne solo nei posti notoriamente perdenti, e tutti quelli in cui gli uomini non riusciranno mai a fare un passo indietro nemmeno quando avranno prova del loro personale fallimento.

Alcuni potrebbero obiettare che un partito privo di simili logiche non esiste. Una buona ragione per sperare in qualcosa di nuovo che sappia correre al passo coi tempi.
In questa direzione, ho molto apprezzato il discorso dell’attuale premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, che si è dimessa dalla guida del suo partito perché certa di non essere più la persona giusta per guidarlo.
Nel suo discorso ha spiegato molto bene le ragioni che l’hanno condotta a ciò:

lascio perché un ruolo così privilegiato comporta responsabilità. La responsabilità di sapere quando sei la persona giusta a guidare e anche quando non lo sei. So cosa richiede questo lavoro e so che non ho più abbastanza energie per rendergli giustizia“.

Conclusione alla quale, è lecito pensare, nessun politico di sesso maschile sarebbe mai arrivato. E questo perché nessun uomo politico italiano ci ha mai dimostrato di saper rinunciare al potere e di farlo quando è in gioco la credibilità ed il futuro del partito che rappresenta. Anzi, in Italia abbiamo esperienza di politici perdenti che hanno ignorato il giudizio del Paese e che ancora oggi si ostinano a non voler prendere coscienza della realtà.

Ed allora, è chiaro che tutto dipende da noi donne, proprio come ci insegnano le storie di molte di loro che hanno lottato prima di noi e che hanno ottenuto con grande fatica progressi dei quali anche noi abbiamo tratto beneficio.

A questo proposito consiglio una lettura indispensabile, Donne difficili. Storia del femminismo in 11 battaglie di Helen Lewisdi, un libro che in questo senso saprà raccontarvi con grande chiarezza chi sono state le pioniere del femminismo, donne che hanno lottato contro un sistema maschilista che le rilegava ad essere marginali sia nella vita pubblica che privata.

Un libro che fa luce su alcuni significativi momenti della storia, che hanno rappresentato un momento di svolta nella lotta, sempre attuale, del movimento femminista.

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