Gli antichi greci, se risultavano coinvolte le persone, separavano l’unione carnale (έρως) dall’affetto per un amico (φιλία) e dal sentimento puro e disinteressato che si prova per il prossimo (ἀγάπη). Si può nutrire amore anche per un grande ideale, un’arte, una religione, o per la conoscenza in sé. La parola filosofia, a sua volta di origine greca (φιλοσοφία), significa proprio amore per la sapienza, come nelle più alte manifestazioni dell’amore platonico.

Amore è in inglese love, in tedesco Liebe. Le due parole risalgono alla radice indoeuropea *leubh-, che equivale a desiderare, reclamare o richiedere. Alla base dell’amore c’è dunque una richiesta, anche pressante, per ottenere qualcosa. Imparentato con love e Liebe è il sanscrito lobha, sinonimo di brama o avidità.
Ma l’avido prende, l’innamorato (piuttosto) dà
. L’avidità è il cinico, spietato, premeditato accumulo di quel che appartiene ad altri, l’amore è l’incondizionato dono di sé dal crinale di un totale abbandono all’ebbrezza della sospensione sul vuoto.  

Non tutte le lingue chiamano l’amore materiale e spirituale nell’identico modo: l’italiano moderno sì (giurare amore eterno, fare l’amore), il francese medievale no. Questo distingueva l’amour dall’ameur, esprimendo col primo il sentimento e col secondo l’atto fisico: avrebbe finito per imporsi amour, ventila un’ipotesi, per la volontà della Chiesa di evitare che l’amore divino si confondesse con l’amore carnale. Oggi cielo e terra, spirito e materia, peccato e redenzione hanno perso gran parte della loro forza aggregativa e attrattiva, a vantaggio di nuove concentrazioni di senso e di valore, ambientali e ipermediali (di qui il reale, di là il virtuale), fluttuanti tra la monogamia e il poliamorismo, l’onanismo e il trombamico, le incontenibili catene del sexting e il sessualmente corretto. Sono terricole polarità degli amorosi sensi, agonismi e antagonismi ai tempi della desolazione e della desertificazione sentimentale, che raccontano altre possibili storie dell’amore, squarciando gli ennesimi veli o tessendo le solite reti. A risentirne anche i corpi, disabitati o svuotati da un amore sempre più esibito, promesso o surrogato e sempre meno esperito o consumato.

La medaglia dell’inessenzialità, della superfluità, della gratuità di un corpo divenuto farsesco, strumentale alla messinscena del sentimento amoroso, e del cedimento dell’erotismo in presenza all’autoeccitazione a distanza, lascia però già intravedere il suo rovescio: un amore eretico, deciso a reagire a un tempo alle parafilie e all’estremismo sessuale del mondo virtuale e all’ortodossia del perbenismo pudico – e alle sue mollezze verbali –  di quello reale.

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