“Credo che la guerra sia una cosa che rappresenta la più grande vergogna dell’umanità. E penso che il cervello umano debba svilupparsi al punto da rifiutare questo strumento sempre e comunque in quanto strumento disumano”.

Gino Strada

Come chiedeva Ugo Foscolo, “all’ombra de’ cipressi o dentro l’urne confortate dal pianto è forse il sonno della morte men duro?”.

La risposta la conosciamo già: non è ai morti che servono le urne. Esse servono a chi resta per avere un luogo e uno spazio dove ritrovarsi ancora con i propri cari in una dimensione sospesa in cui una vicinanza è ancora possibile.

Ma nelle guerre, in questa guerra attualmente in corso, non c’è tempo per seppellire i morti. Non c’è tempo per creare delle urne. E non c’è tempo nemmeno per piangerli, i morti, perché tocca mettersi al riparo. Tocca trovare un posto sicuro. Tocca trovare un modo per scampare alle bombe.

E poi c’è lo shock, l’incredulità per tutto quello che succede e che c’è intorno proprio lì dove prima c’era la propria casa, c’era la scuola che si frequentava, c’era la bottega in cui si andava a fare la spesa e si scambiavano quattro chiacchiere con il salumiere, c’era il teatro in cui, ogni tanto, si andava a vedere il balletto.

Se questo shock da una parte permette di reagire, fuggire e mettersi in salvo, dall’altro impedisce di capire fino in fondo ciò che sta succedendo e tutto questo perché il cervello umano non è programmato per comprendere la morte.

Persino durante la fase REM se si si sogna di morire ci si sveglia di soprassalto. Immaginiamo, appunto, cosa può accadere in un evento così assurdo come lo sono le guerre, come lo è questa guerra.

Viene così da chiedersi se mai si potrà guarire da tutto questo, se mai si potrà ritrovare un equilibrio, una serenità. Forse, un giorno, una cosa del genere sarà possibile, ma solo se ci sarà, non una comprensione, ma un’elaborazione di tutto questo.

La salute mentale, non è mai data una volta per tutte, ma va costruita e difesa ogni singolo giorno della propria vita e la salute mentale passa anche da questo: elaborare, con il tempo, vissuti che mai avremmo immaginato di dover ripetere e dover rivivere e che sembrano talmente assurdi da non poter trovare una collocazione razionale nella nostra mente.

Primo Levi è stato il primo a parlare di “senso di colpa del sopravvissuto” e lui stesso vi rimase talmente invischiato da non riuscire a sopravvivervi più, tanto che l’11 aprile 1987 si tolse la vita gettandosi nella tromba delle scale della sua casa di Torino e oggi in psicologia si sente spesso parlare della sindrome del sopravvissuto per indicare quel sentimento di forte senso di colpa di chi è rimasto in vita dopo eventi traumatici particolarmente gravi.

In queste persone il senso di non ritenersi degni di essere rimasti in vita a dispetto di chi non ce l’ha fatta è, spesso, una persecuzione che dura per tutta la vita.

Ecco perché è fondamentale la messa in atto di interventi tempestivi che possano agire prima che simili vissuti si cronicizzino. A tal proposito gli interventi terapeutici più indicati sembrano essere quello psicodinamico e quello cognitivo-comportamentale, anche da utilizzarsi in una sorta di approccio integrato.

Il primo avrebbe la funzione, attraverso il rivivere l’evento traumatico, di una elaborazione profonda dell’aspetto emotivo e delle dinamiche inconsce/irrazionali legate, appunto, al trauma.

Il secondo partirebbe dalla considerazione che la colpa si genera dalla valutazione che si fa degli eventi e, proprio per questo, si baserebbe sulla rielaborazione delle considerazioni che hanno condotto a conclusioni erronee che, a propria volta, hanno generato il senso di colpa.

A questo proposito, per un ulteriore approfondimento, suggerisco il libro postumo di Gino Strada Una persona alla volta in cui si parla proprio del diritto universale alla salute partendo dal contesto della guerra che questo diritto sembrerebbe sacrificarlo in nome di priorità di altro tipo.

“La guerra è il simbolo di un mondo di umani senza diritti, a cominciare da quello a restare vivi, che dà sostanza a tutti gli altri” diceva Gino Strada.

Sul campo di battaglia, prima di tutto, bisogna salvare il salvabile. Ma una volta che la vita è salva bisogna poi preoccuparsi della vita mentale e questo non sempre viene tenuto nella giusta considerazione. Una riflessione, oggi, attuale più che mai.

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