E’ stata, anche, l’estate dei granchi blu. Con Presidente del Consiglio, Presidente della Regione Veneto e Ministro dell’agricoltura (e della pesca) che si sono immortalati davanti ai fornelli di famiglia con l’ambita preda nordamericana facendo appelli a mangiarne il più possibilealla faccia della tanto sbandierata italianità a tavola.

E facendo appello anche agli allevatori di altri animali condannati sempre a morte, mitili come cozze e vongole, subito omaggiati di un primo stanziamento di quasi tre milioni di euro, per catturare il più possibile lo scomodo emigrato, coinvolgendo orde di bagnanti scatenati con retini e secchielli in ogni dove.

La colpevole inconsapevolezza
della nostra politica

Tutti non consci che il granchio blu, il Callinectes Sapidus, ce l’abbiamo portato noi con le acque di zavorra del traffico navale sversate evidentemente in maniera legale, attività che si continua a non voler regolamentare e vigilare per altri possibili non augurabili ingressi.

Tutti non consci che dopo una decina d’anni di presenza nelle acque italiane questa volta è esplosa la sua presenza per motivi legati ai cambiamenti climatici come gli arrivi in mare di fiumi gonfiati nei mesi sbagliati.

Tutti non consci che a decretarne il successo riproduttivo è proprio la pesca massiva di uno dei suoi predatore naturale, il polpo, a cura di chi riceve i finanziamenti pubblici di un settore sovrassistito e che ha reso – complici i consumi in aumento – i mari più prossimi a un deserto fra gamberi e calamari dall’Argentina, pangasi dal Vietnam e naselli dal Senegal.

Tutti non consci che proprio la Commissione della FAO per la pesca nel Mediterraneo (quindi non un covo di animalisti) ha sentenziato che gli effetti negativi – economici – di questi sgraditi ospiti sono molto minori laddove vi sono aree protette, davvero protette, senza attività umane, quindi dove la biodiversità rende i singoli viventi più forti contro i temuti invasori, altro che l’aumento della pesca a strascico come si appresta a permettere la Regione Lazio.

Tutti non consci che per quanti ne cattureranno e mangeranno è impossibile azzerare la specie dalle nostre parti (sono 640 le specie non autoctone censite nei mari dal 1970 a oggi con un aumento esponenziale di quasi 22 specie nuove ogni anno) e che le azioni finanziate sono costosissime oltre che inutili se non ad aumentare la sofferenza animale e l’impoverimento delle acque.

E’ a questo proposito che vi consiglio il libro Il pesce è finito di Gabriele Bertacchini, che ci porta a bordo dei grandi pescherecci, sotto la superficie dell’acqua e negli allevamenti industriali, per svelarci scomodi segreti.

La guerra ai granchi blu

Ora poi, che i biologi del CNR hanno scoperto un secondo tipo di granchi blu nei nostri mari, il Portonus Segnis originario del Mar Rosso, ci sarà un secondo lanciato allarme, un secondo finanziamento, un secondo di tutto quanto abbiamo assistito in queste settimane.

E così via. Sempre dichiarando guerra, a posteriori, a quelle specie che etichettiamo come invasive aliene, avendo fatto nulla per prevenirne la presenza nel nostro Paese, anzi spesso incentivandola con del legalissimo commercio. Sempre tentando di svuotare, appunto, l’oceano con un cucchiaino. Continuando, in tutti i sensi, a prendere granchi. 

E a dimenticarcene, del mare e dei suoi abitanti, appena arriverà il primo freddo e rivedremo in tv, comodi sul divano, spot che pubblicizzano con tanto di marchi ambientalisti, la pesca sostenibile che non esiste.

Condividi: