Tanto tempo fa, nelle lontane sale della convention di Stoccolma, i governi del mondo si erano riuniti per discutere le sorti del pianeta, e si erano lasciati con una dichiarazione uscita dai cuori dei paesi più oppressi, e poco o nulla di fatto. Sulla carta grandi intenzioni erano state controfirmate, ma naturalmente questi grandi temi avevano bisogno della cooperazione internazionale di tutti le parti per essere affrontati.
E fu così che la guerra fredda fra Russia e Stati Uniti relegò le trattative sull’ambiente ad un inverno, durato vent’anni, di letargo e dimenticanza.

Solo all’inizio degli anni ’90, con lo sciogliersi delle tensioni fra i due blocchi, inizia anche a rifiorire una speranza per il mondo. Nel 1988 le Nazioni Unite chiamano a raccolta scienziati da tutto il mondo a formare l’IPCC, un gruppo incaricato di produrre delle relazioni sulla scienza del clima il più possibile moderne e aggiornate, in modo da guidare i politici e i diplomatici nelle loro decisioni, e il primo report arriva nel 1990.

Forte di questo sapere, nel 1992 a Rio si svolge la conferenza sul clima più grande che si sia mai vista. Circa 200 rappresentanti degli stati di tutto il mondo e delle più importanti organizzazioni internazionali si riuniscono per riesaminare i modelli estrattivi, produttivi, e di consumo delle risorse, e decidere come modificare questi sistemi a favore dell’ambiente e della salute. Alla fine del summit i Paesi sviluppati riconoscono la necessità di ridurre le emissioni entro il 2000, ma di fatto non riescono ad accordarsi su un piano d’azione dettagliato. Invece di dare indicazioni precise, l’accordo che viene firmato (UNFCCC) si limita ad apparecchiare la tavola per le future trattative, fissando un appuntamento annuale, le famose COP (Conference of the Parties), e stabilendo i principi su cui basare dibattiti e decisioni future. Firmando questo trattato, i politici di tutto il mondo riconoscono per la prima volta l’esistenza e la pericolosità del cambiamento climatico, e affermano che dovranno gestire questa crisi rispettando i principi di precauzione, e delle comuni ma differenziate responsabilità, e si danno l’obiettivo di cambiare gradualmente i modelli economici in modo da raggiungere uno sviluppo sostenibile.

Le trattative che si svolgono nelle COP portano tutti i suoi partecipanti a firmare nel 1997 il protocollo di Kyoto, in cui finalmente si stabiliscono degli obiettivi legalemente vincolanti di riduzione delle emissioni entro il 2012, e dei metodi precisi per raggiungerli e tenere traccia del loro progresso.
Tutto sembra andare per il meglio. Ma…

Se questo fosse un racconto di fantasia adesso verremmo trasportati nel covo dei cattivi. Vedremmo una poltrona dall’alto schienale al centro di una grande sala in penombra, e lì seduto fra sbuffi di fumo un uomo in abiti eleganti dichiarare con voce grave, ad un consiglio di suoi simili, qualcosa del genere :
“A meno che il cambiamento climatico diventi un non-problema, ovvero che la proposta di Kyoto sia sconfitta e che non ci siano ulteriori iniziative per contrastare la minaccia del cambiamento climatico, non ci sarà un momento in cui potremo dichiarare vittoria per i nostri sforzi. La vittoria sarà raggiunta quando […] coloro che promuovono il trattato di Kyoto sulla base della scienza esistente sembreranno non essere più in contatto con la realtà.”
E musica tesa a creare suspence.

Ma siccome questa è una storia vera di interessi economici e poteri politici, queste parole si leggono in una nota del Consiglio sull’informazione per l’ambiente, una associazione fondata negli Stati Uniti dalle lobby del fossile con l’obiettivo di riposizionare, nell’opinione comune, il cambiamento climatico come una teoria, non un fatto. E una cacofonia di ingranaggi inceppati.

In effetti l’influenza di interessi opposti all’azione per il clima si poteva già leggere fra le righe dell’UNFCCC che assicuravano un cambiamento graduale perché c’erano “tanti altri problemi ai quali dedicare tempo, soldi, ed energie”. La si può riconoscere nel ritardo accumulato fra le conferenze di Rio e di Kyoto in cui la data entro la quale ridurre le emissioni è stata spostata in avanti di 12 anni. E con il passare degli anni la si potrà vedere clamorosamente in tutti i passi falsi indietro e in diagonale delle trattative successive.

Un resoconto dettagliato di questo processo lo si può leggere in Mercanti di dubbi  (per chi volesse, c’è anche il film) un libro che spiega come un manipolo di scienziati abbia piegato all’ideologia le proprie conoscenze e le abbia messe a disposizione delle industrie e dei decisori politici. In breve i risultati sono stati questi…
Nel 2002 G.W. Bush boicotta il secondo Earth Summit decidendo, coi complimenti dei conservatori americani, che gli Stati Uniti non vi avrebbero partecipato.
Il protocollo di Kyoto non viene mai ratificato dagli Stati Uniti, e viene abbandonato dal Canada appena prima della sua scadenza, quindi di fatto i due paesi non partecipano all’accordo e non ne rispettano gli obiettivi.
Nel 2012 la COP si riunisce per la diciottesima volta, in Qatar, per estendere gli impegni presi a Kyoto, e definisce con l’emendamento di Doha nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni, da raggiungere entro il 2020. Questa volta però il trattato non viene ratificato da molti Paesi, fra i quali spiccano Russia ed Emirati Arabi, mentre gli Stati Uniti e il Canada non lo firmano direttamente, inoltre, per motivi burocratici, entra in vigore in maniera puramente simbolica, il giorno stesso della sua scadenza.

Però, a parte questi fallimenti nella cooperazione internazionale il grande problema è un altro. Il meccanismi di riduzione delle emissioni e di controllo previsti dal protocollo di Kyoto coinvolgevano solo alcuni Paesi, e permettevano ai partecipanti di continuare ad inquinare, a patto di compensare il danno con investimenti in Paesi in via di sviluppo. Inoltre non tenevano conto dell’inquinamento prodotto indirettamente in altri Paesi attraverso l’importazioni di beni. Il risultato finale è stato che chi non ha disertato il trattato può vantare di aver ridotto, sulla carta, il proprio impatto ambientale, ma di fatto ha continuato ad inquinare, portando le emissioni globali a crescere fino a livelli mai visti prima.

Così siamo arrivati ai nostri giorni, con la crisi climatica in fase terminale e con nuovi accordi da trovare per fare in modo che l’inevitabile e radicale trasformazione in arrivo sia positiva. L’ultimo incontro in cui se se sta parlando è la COP26, ma i luoghi da cui arrivano le richieste d’aiuto e le migliori proposte sono le piazze di tutto il mondo.

Vedremo se dalla Scozia riusciranno ad ascoltarle (e nel frattempo vedetevi il film!).

di Andrea Drago per conto di Valeria Belardelli

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