(English translation below)
Pochi giorni fa leggo su un giornale locale la lamentela di un cacciatore che durante la sua battuta di caccia a volatili (non meglio precisati) si imbatte in un branco di lupi che lo raggiungono dopo avere inseguito i suoi due bracchi da caccia. Inizialmente si fermano a guardarlo a circa venti metri di distanza. Poi, come lui stesso racconta, mentre il cacciatore cerca di fotografarli, i lupi si avvicinano e lo circondano. A quel punto lui tenta di allontanarli con la voce. Quando capisce che i lupi non hanno intenzione di sgomberare imbraca il fucile, che a suo dire è caricato con pallini piccoli per pennuti, e ne ferisce uno che guaendo si mette in fuga seguito da tutti gli altri. A commento del suo racconto, il cacciatore conclude con la seguente riflessione: “e se invece di trovare me avessero trovato un cercatore di funghi o un tartufaro?”, lasciando intendere quindi che proprio in qualità di cacciatore, e quindi di uomo armato, ha potuto salvarsi da una aggressione sicura.

E’ più cattivo il lupo o il cacciatore?

Quanta umana spavalderia, quanta presuntuosa indisponenza in questo comportamento. E’ stato proprio il suo sentirsi armato, e quindi più forte, a metterlo in pericolo. Qualsiasi altra persona, non armata, avrebbe saputo cosa fare. In questi casi infatti l’unica cosa da fare è allontanarsi con calma, prendendo la direzione opposta a quella dei lupi. Lui invece, forte della sua arma, è rimasto fermo (li ha pure contati, pare) poi ha preso il cellulare dalla tasca ed ha inquadrato (è lecito domandarsi se si sia pure avvicinato per avere un’inquadratura migliore). Cosa credeva? Che i lupi si sarebbero messi in posa e gli avrebbero anche fatto un sorriso? Quello che stupisce di più del suo racconto è proprio la tracotanza che traspare dalla sua convinzione che il fare una foto fosse una cosa giusta, se non addirittura un suo diritto. “Ho subito pensato a riprenderli con il telefonino, non capita infatti spesso di vedere così da vicino il nostro re del bosco”. Ecco, appunto, è il re del bosco, e tu sei solo un intruso indesiderato. E invece no, poiché non capita spesso, aspettate un attimo che vi faccio una bella ripresa così la metto su Facebook! E queste sue parole lasciano intuire che non si sarebbe limitato ad una foto, ma avrebbe fatto addirittura un video, se solo i lupi glielo avessero permesso.

Il racconto di questo cacciatore non lascia dubbi su come siano andate le cose: è chiaro che i lupi si erano solo sentiti minacciati dalla presenza dei cani, predatori come loro, e quindi competitors nella loro zona di caccia, e li avevano inseguiti per allontanarli. A quel punto l’errore più grande commesso da questo maldestro cacciatore, è stato quello di volere fotografare o filmare gli animali, senza pensare che il gesto di alzare le mani verso l’alto e inquadrare nella loro direzione avrebbe potuto essere interpretato come un gesto di aggressione.

Fino a quando l’essere umano
si sentirà padrone del mondo?

Questa breve storia di stupidità umana mi fa tornare sul tema della nostra arroganza sul pianeta. Sempre più spesso sentiamo o leggiamo di storie simili, in cui l’essere umano si sente minacciato dagli orsi o dai cinghiali quando va per boschi. E la conclusione è spesso la medesima: l’animale ucciso nel suo habitat solo perché si è permesso di disturbare l’intruso, quello che stava minacciando la sua cucciolata, la sua ricerca di cibo, la sua tranquillità.

Da esseri civilizzati, sempre più rammolliti dalle comodità e impigriti dalla tecnologia, andiamo alla ricerca di esperienze avventurose tra parchi, boschi e montagne, e poi al primo incontro con la vera natura selvaggia di questi ambienti ci stupiamo del comportamento aggressivo di un animale che si è permesso di minacciarci.

Come contrastare questa ottusa tronfiezza? Con la conoscenza e l’immedesimazione. Esiste un incredibile libro, dal titolo La saggezza dei lupi. La mia vita con il branco, di Elli H. Radinger, in cui si scopre che i lupi sono animali molto simili a noi, tra i pochi a consolidare i legami familiari e a nutrire un forte senso di comunità, che sanno assistere i compagni feriti, che sanno gestire con intelligenza i conflitti e sanno affidarsi all’esperienza degli anziani. 

Ed è proprio la grande intelligenza del lupo ad emergere nel film Mai gridare al lupo, del regista statunitense Carrol Barrald, in cui si narra la vicenda di un biologo che arriva tra i ghiacci del Canada per studiare il comportamento di alcuni lupi considerati gli autori delle uccisioni di moltissimi caribù. Nel film il biologo si ambienta nella tundra scoprendo gli affascinanti comportamenti del lupo, e durante questa permanenza scoprirà che i caribù vengono uccisi da cacciatori di frodo, in un gioco a carte invertite dove il cattivo diventa l’essere umano. Una pellicola illuminante per capire l’indole sensibile del lupo contrapposta a quella cinica dei cacciatori di frodo.

E il fascino di questo meraviglioso animale è celebrato anche in un altro splendido libro, I figli del bosco, di Giuseppe Festa, appassionante come un romanzo ma autentico come la storia vera che racconta: quella di due cuccioli di lupo trovati abbandonati e in difficoltà e inseriti in un centro di recupero. La storia narra l’incredibile sfida dei volontari del centro per restituire i due lupi al loro bosco, mostrando la fierezza, l’intelligenza e lo spirito libero che caratterizzano da sempre il lupo.

Esiste anche uno splendido sito dedicato proprio alla coabitazione tra lupo ed essere umano sulle Alpi, in cui si spiega perché i lupi non aggrediscono le persone e quali comportamenti adottare in un ipotetico incontro con un lupo. Il lupo non identifica gli esseri umani come prede” si spiega sulle pagine di Life Wolfaps Eu, un sito che nasce da un progetto dedicato alla conoscenza del lupo e curato da un centinaio di enti, associazioni, università, fondazioni e comprensori per garantire la conservazione a lungo termine del lupo sulle Alpi. La convivenza negli stessi territori con il lupo è un tema delicato, soprattutto perché ci sono aree molto antropizzate, o centri urbani troppo vicini a zone boscose che rendono per il lupo impossibile evitare la civiltà. E questo ci pone davanti al tema dell’autolimitazione: è lecito pensare che l’essere umano debba imparare a limitarsi. Siamo noi, in quanto menti capaci di un ragionamento superiore, a capire fino a dove possiamo spingerci. Siamo noi a dover imparare qual è quella linea di confine oltre la quale non possiamo più adottare un comportamento da padrone. Non è il lupo a dover capire che magari vogliamo solo farci un selfie con lui!

ENGLISH VERSION

The wolf and the hunter who believed himself invincible: a stupid story and two books you don’t expect to understand an unknown animal

A few days ago I read in a local newspaper the complaint of a hunter who, during his hunting trip for birds (unspecified), comes across a pack of wolves who reach him after having chased his two hunting dogs. At first, they stop to look at it about twenty meters away. Then, as he himself recounts, while the hunter tries to photograph them, the wolves approach and surround him. At that point, he tries to push them away with his voice. When he realizes that the wolves have no intention of evacuating, he harnesses the rifle, which he says is loaded with small pellets for birds, and wounds one that whining runs away followed by all the others. Commenting on his story, the hunter concludes with the following reflection: “and if instead of finding me they had found a mushroom hunter or a truffle hunter?”. With this question, he thus hinted that precisely as a hunter, and therefore as a gunman, he was able to save himself from a sure attack.

Is the wolf worse or the hunter?

How much human bravado, how much presumptuous indignation in this behavior. It was precisely his feeling of being armed, and therefore stronger, that put him in danger. Any other person, unarmed, would have known what to do. In fact, in these cases the only thing to do is to walk away calmly, taking the opposite direction to that of the wolves. On the other hand, strong with his weapon, he remained still (he even counted them, it seems) then took the cell phone from his pocket and framed it (it is legitimate to wonder if he even approached to get a better shot). What did he believe? That the wolves would pose and even smile at him? What is most surprising about his story is precisely the arrogance that transpires from his belief that taking a picture was a right thing, if not a right of him. “I immediately thought of shooting them with my mobile phone, in fact, it is not often that we see our king of the woods so closely”. Here, in fact, he is the king of the woods, and you are just an unwanted intruder. But no, since it doesn’t happen often, wait a moment for me to take a good shot so I’ll put it on Facebook! And these words from him suggest that he would not have limited himself to a photo, but he would have even made a video if only the wolves had allowed him.

The story of this hunter leaves no doubt as to how things went: it is clear that the wolves had only felt threatened by the presence of dogs, predators like them, and therefore competitors in their hunting area, and had chased them to drive them away. At that point, the biggest mistake made by this clumsy hunter was that of wanting to photograph or film the animals, without thinking that the gesture of raising the hands upwards and pointing in their direction could have been interpreted as a gesture of aggression.

Until when will the human being
perceive himself as a dominator of the world?

This short story of human stupidity brings me back to the subject of human arrogance on the planet. More and more often we hear or read similar stories, in which the human being feels threatened by bears or wild boars when he goes through the woods. And the conclusion is often the same: the animal killed in his habitat only because he disturbed the intruder, the one who was threatening his litter, his search for food, his tranquility.

As civilized beings, increasingly softened by comforts and got lazy by technology, we go in search of adventurous experiences among parks, woods, and mountains, and then at the first encounter with the true wild nature of these environments, we are amazed at the aggressive behavior of an animal that has threatened us.

How to counteract this obtuse arrogance? With knowledge and identification. There is an incredible book, entitled The Wisdom of the wolves. My Life with the Pack, by Elli H. Radinger, in which it turns out that wolves are animals very similar to us, among the few to consolidate family ties and nurture a strong sense of community, who know how to assist wounded companions, who know how to manage conflicts intelligently and know how to rely on the experience of the elderly.

And the charm of this wonderful animal is also celebrated in another splendid book, I figli del bosco, by Giuseppe Festa, as exciting as a novel but as authentic as the true story it tells: that of two wolf cubs found abandoned and in difficulty and placed in a recovery center. The story tells the incredible challenge of the volunteers of the center to return the two wolves to their forest, showing the pride, intelligence, and free spirit that have always characterized the wolf.

There is also a splendid site dedicated to the cohabitation between wolves and human beings in the Alps, which explains why wolves do not attack people and what behaviors to adopt in a hypothetical encounter with a wolf. “The wolf does not identify human beings as prey” is explained on the pages of Life Wolfaps Eu, a site that was born from a project dedicated to the knowledge of the wolf and edited by a hundred organizations, associations, universities, foundations, and districts to ensure the long-term conservation of the wolf in the Alps. Coexistence in the same territories with the wolf is a delicate issue, above all because there are highly populated areas, or urban centers too close to wooded areas that make it impossible for the wolf to avoid civilization. And this places us in front of the theme of self-limitation: it is legitimate to think that the human being must learn to limit himself. It is we, as minds capable of superior reasoning, who understand how far we can go. We are the ones who have to learn what is that borderline beyond which we can no longer adopt a master behavior. It is not the wolf who has to understand that maybe we just want to take a selfie with him!

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