Mentre studiavo Filosofia a Firenze, per poi laurearmi in Gender Studies quando ancora non esisteva l’insegnamento, grazie alla pioniera Simonetta Soldani che mi portò in commissione con Paul Ginsborg (che non mi dette la lode!), facevo la cubista in discoteca, riuscendo a mantenermi egregiamente. Quando il Touring Club Italiano mi incaricò di fare l’assaggiatrice, recensendo i ristoranti toscani, presi quei due-tre chili che mi costarono l’abbandono del ballo: poco male, mi divertivo lo stesso.

Una volta a settimana andavo in un ristorante che mi serviva più di un assaggio a portata, fate voi il conto di quanti piatti ho testato. Questo lo racconto per giustificare il mio addentrarmi nel labirintico e severissimo mondo del gusto, che oggi certo non rapresenta il mio mestiere, ma per cui mi è rimasta una nostalgica simpatia.

E’ stato il mio maestro, Giulio Anselmi, a far conoscere Il Sanlorenzo, a Roma, un ristorante ricavato all’interno di un palazzo storico, a sua volta costruito sulle fondamenta del Teatro di Pompeo. Sarà che sono una fan del minimal e del design, tanto che il mio gusto si organizza a partire dagli occhi ancor prima che dalla bocca e dal naso, e l’atmosfera di un posto conta tanto quanto le abilità del suo chef, ma da questo luogo sono stata letteralmente rapita, e sono sicura che la nostra Cristina Bowerman può comprenderne il perchè.

Immaginate un locale dove il peso della storia è perfettamente equilibrato dallo slancio dell’arte contemporanea della scuola di San Lorenzo, con sede nel ex pastificio Cerere, e le luci danno una mano, insieme al silenzio diffuso, costruito insieme a una clientela rispettosa. Su questa scenografia la narrazione del pasto diventa avvincente, soprattutto se si è protagonisti, ossia seduti a tavola.

Ma parliamo di pesce, motivo, finalmente, di questo articolo. Chi vi scrive è una appassionata di crudi, pesce ma non solo, se avessi un’altra vita opterei per il crudismo integrale. Crudo per me è la rinuncia ad ogni manipolazione, una obbedienza umile alla materia prima, e per chi cucina una vera sfida: la resa massima con la sola arte dei profumi e della forma.

Il mio must: carpaccio di gamberi

Qui i crudi sono perfetti, forse i migliori mai assaggiati in quattro decenni. Ma stiamo parlando di un pesce sopraffino, tirrenico e senza importazioni, che arriva dritto dritto da Ponza, da una cooperativa di pescatori, grazie alla collaborazione iniziata nel 2007 con Gino Pesce, patron dell’Acquapazza, ristorante molto noto nell’isola e non solo. Ma non finisce qui, perchè questo ristorante partecipa tutte le sere alle aste di Anzio e Civitavecchia.

Dentice in pizzaiola fredda

Per me che o tonno o nulla, non è una vita facile, qualcuno più informato della media lo sa. Ma qui mi sento serena: il locale, infatti, aderisce a un programma di tutela del tonno rosso per cui viene servito solo da maggio a settembre, lasciandolo vivere e riprodursi tranquillamente. In inverno regna invece il pesce azzurro (palamite, tombarelli, tonnetti alletterati).

Lo so, alla fine non vi ho raccontato nemmeno un piatto, ma voi fidatevi, andate e chiedete di Elena, una donna elegante nella sua autenticità, e fatevi consigliare un menù sartoriale, con tanto di abbinamenti dalla carta dei vini che – giuro – è assolutamente all’altezza (io ho bevuto un rosso, alla faccia dei tradizionalisti del pesce!). Se proprio proprio non volete andare alla cieca, ecco uno degli ultimi menù, ma la carta cambia ogni settimana!

Dimenticavo! Con me è d’accordo anche la Guida Michelin, nonostante non abbia dato la stella!

Foto prese qui.

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