Molti di voi ne avranno sentito parlare o avranno letto gli strani acronimi che li identificano (TTIP, CETA, Mercosur), ma di cosa si tratta? Sono trattati internazionali, trattati commerciali, che hanno come partner di un accordo bilaterale (quindi a due parti) da un lato l’Unione europea e dall’altro Stati Uniti, Canada e Paesi dell’America Latina. È opportuno chiedersi: perché sono tanto criticati e discussi?

Questi trattati commerciali bilaterali si inseriscono in un contesto internazionale già governato da vari regole internazionali, su tutte quelle dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Quest’ultima favorisce il commercio internazionale di beni e servizi con una serie di disposizioni che eliminano o riducono tutte quelle barriere agli scambi tra paesi: tasse, dazi doganali, restrizioni all’importazione di alcuni prodotti, specificazioni in etichetta, ecc. La filosofia è quella dei vantaggi comparati, che si basa sull’idea che finché un paese ha certi vantaggi nella produzione di un bene e un altro ne è privo, sarà sempre più conveniente per l’ultimo acquistare dal primo anziché produrre in autarchia; e per entrambi scambiarsi beni rispettivamente prodotti con maggiore efficienza.

E allora a cosa servono questi ulteriori accordi?


Si tratta di accordi creati per facilitare ancora di più gli scambi tra i contraenti. A danno di chi ne sta fuori (ossia gli altri Stati).

Anche all’interno del regime regolato dall’OMC, infatti, sussistono delle barriere agli scambi commerciali. Con questi accordi molte di queste barriere potranno essere superate. Si stabiliscono quindi regole comuni, standard armonizzati, livelli di sicurezza omogenei, in modo da facilitare il commercio reciproco.

Sin qui sembrerebbe tutto normale e ragionevole, ma c’è un problema. Non tanto piccolo. E riguarda gli standard di qualità, sicurezza e tutela in merito a salute, ambiente, condizioni dei lavoratori, territorio, paesaggio, ecc. Ebbene, questi standard non sono identici in Canada e in Italia, in Francia e in Brasile, in Germania e negli Stati Uniti. Anzi, a dire la verità, su questi aspetti l’Unione europea è sempre all’avanguardia, con tutele più alte, discipline più rigorose, garanzie di qualità più elevate. A fronte di tali accordi, quindi, è comprensibile avere delle perplessità, giacché nella negoziazione l’Europa potrebbe (e in realtà inevitabilmente dovrà) cedere su alcuni punti, adeguandosi ai modelli di oltre-oceano.

Un esempio? È molto facile. In Europa si applica il principio di precauzione, che consente alle autorità pubbliche di disporre una misura di regolazione – per un periodo di tempo limitato – che vieta una pratica, sequestra o impedisce il commercio di un prodotto, impone un’indicazione in etichetta, sulla base di una possibilità di un rischio, senza dover dimostrare scientificamente che quel rischio si verificherà. Questa è un’arma molto forte in mano ai poteri pubblici che si occupano di tutelare gli interessi generali in nome dei quali limitare le attività economiche, per esempio per proteggere l’ambiente o la salute. E pone l’onere di dimostrare la sicurezza di un prodotto in capo a chi lo produce e non in capo a chi vorrebbe vietarlo perché lo ritiene rischioso. Ebbene, Stati Uniti e Canada non riconoscono il principio di precauzione e non lo ammettono all’interno dei loro ordinamenti giuridici: quale approccio si deciderà di adottare?

Il pericoloso meccanismo di protezione degli investimenti

Ma c’è di più. Ad esempio, il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), che vorrebbe creare un mercato speciale tra USA e UE, prevede l’introduzione di organismi tecnici con poteri sovranazionali alcuni dei quali analoghi a quelli di un tribunale. Ad esempio, il meccanismo di protezione degli investimenti (Investor-State Dispute Settlement – ISDS) consentirebbe alle imprese dei Paesi membri di citare gli opposti governi qualora democraticamente introducessero normative, anche importanti per i propri cittadini, che ledessero i loro interessi passati, presenti e futuri. A riguardo, vi sono poi dubbi su chi comporrebbe tale tribunale e sulla base di quale diritto deciderebbe: gli ordinamenti giuridici nazionali o solo le norme contenute nel TTIP?

Al momento il TTIP è fermo, perché Trump, per ragioni di mera immagine personale e per una visione imperialistica degli Stati Uniti, lo ha fatto saltare. Ma è lecito pensare che con Biden potrebbe riprendere vigore. Qui un approfondimento.

Per quel che riguarda il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), tra UE e Canada, questo è entrato in applicazione provvisoria il 21 settembre 2017, per le materie che rientrano nella competenza UE. Al momento deve essere ratificato dai vari Parlamenti dei Paesi europei. I punti di contatto con il paese nordamericano sono maggiori rispetto agli USA e tuttavia anche in questo caso sussistono timori di un abbassamento degli standard di qualità.

Infine, anche l’accordo tra l’Unione europea e il Mercado Común del Sur (Mercosur) – composto da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay – è in una fase di stallo e anch’esso è soggetto a molte critiche. A tal riguardo, basti pensare alle politiche in tema di rispetto dei diritti indigeni o di tutela dell’ambiente di un Paese come il Brasile per capire le perplessità su tale accordo.

E il cibo? Le produzioni alimentari sono ovviamente al centro di questi trattati, perché oltre a rappresentare un business fondamentale per tutti i soggetti coinvolti, sollevano problematiche di varia natura, che coinvolgono lo sviluppo economico, la tutela della salute, il rispetto dell’ambiente, l’occupazione e le condizioni dei lavoratori. Ma, soprattutto, le sensibilità a temi come la salubrità e la qualità dei cibi sono diverse sulle due sponde dell’Atlantico e questo potrà generare numerosi problemi e scelte difficili o impopolari: l’UE riuscirà a imporre le sue condizioni o dovrà accettare quelle adottate oltre oceano?

Cosa succederà quindi?

Ancora non è dato sapere cosa accadrà, e naturalmente molto dipenderà dai contenuti di questi accordi, ossia dove e come verranno trovati dei compromessi quando gli approcci europei e americani saranno divergenti. Va detto che sinora molte negoziazioni sono state condotte in gran segreto, cercando di non dare troppa visibilità alla cosa, benché, come intuibile, si tratti di una questione molto importante. E questo non depone a favore, anzi, la cosa migliore sarebbe fare l’opposto: se gli accordi saranno il portato di scelte democratiche e ampiamente condivise con le popolazioni informate avranno una legittimazione e un riconoscimento più forte. Altrimenti verranno percepiti come un imbroglio. In ogni caso, la speranza – ancora viva – è che si prenda il meglio dei due mondi e non il peggio.

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