Una donna butta sua figlia giù da un balcone. Poi si butta anche lei. Lei sopravvive, sua figlia no. Molte cose vengono dette: la donna aveva denunciato maltrattamenti da parte del padre di sua figlia, la donna ha una diagnosi di disturbo bipolare, la donna ha subito due trattamenti sanitari obbligatori, è seguita dal centro di salute mentale.

Le notizie si mescolano, ora si mette più in evidenza l’ipotesi della violenza subita, più spesso si mette l’accento sulla diagnosi psichiatrica. La verità è che difficilmente riusciremo a conoscere la verità, soprattutto se ci aspettiamo che la verità sia una sola e incontrovertibile.

riflessioni

Sappiamo che le donne con diagnosi psichiatrica hanno una probabilità aumentata di subire violenza da parte del partner e dei famigliari, sia per la minore possibilità di essere credute – spesso le ferite e i lividi vengono fatti passare per atti di autolesionismo – che per la difficoltà oggettiva della famiglia nella gestione delle crisi che può portare anche a comportamenti violenti nel tentativo di contenerle. 

Si ingenera così un cortocircuito in cui la violenza della crisi ingenera quella del caregiver, senza che sia davvero possibile all’esterno distinguere un comportamento volontariamente lesivo dal tentativo di arginare l’evento psicotico.

La salute mentale è questione complessa e quando si mescola alla violenza di genere diventa quasi impossibile da dirimere. Quello che è certo è che se il tema fosse trattato con la dovuta attenzione dal legislatore e da chi ci governa, con l’implementazione dei fondi destinati alle terapie, molte tragedie sarebbero evitabili. Prima di tutto perché gli operatori della salute mentale, messi in condizione di lavorare, potrebbero essere più accurati nelle diagnosi e potrebbero predisporre psicoterapie e visite psichiatriche più frequenti di quanto non avvenga oggi, a seguire perché l’informazione e la sensibilizzazione potrebbero diventare capillari e permettere al comune cittadino di intercettare eventuali segnali di pericolo.

La scelta che spesso viene invocata, ovvero quella di togliere la custodia dei figli alle donne con importanti patologie psichiatriche, non sempre è applicabile nell’interesse del minore, anche perché è frequente che gli eventi psicotici si manifestino in seguito ad un repentino peggioramento delle condizioni della paziente, intercettabile e arginabile appunto con una terapia assidua e accurata.

La donna che ha ucciso sua figlia gettandola dal balcone non assumeva i farmaci prescritti da un mese. Smettere di assumere i farmaci in modo repentino e senza una deprescrizione rischia di avere degli effetti paradosso gravissimi, tanto più se si soffre di una patologia grave come il disturbo bipolare di tipo 1.

Come sempre di questo si parla poco e male, perché fa notizia la madre che butta la figlia dal balcone, la fa molto meno la mancanza strutturale di fondi per la salute mentale.

Peccato che le due cose siano intrinsecamente legate.  

Sull’argomento consiglio la lettura del libro di Giancarlo Di Maggio Un attimo prima di cadere.

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