Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Aldo Gambarini, sul palco e in studio di registrazione Komatsu San. Bergamasco, poco più che ventenne, da tempo ci regala bella musica scatenata su Spotify, Youtube e dintorni, e sui social spinge forte sulla sua musica, che è colorata, gender free e a volte provocatoria. Sia chiaro, i termini provocatoria e gender free sono concetti vaghi che esprimo io, per capirsi.

Per chi conosce il genere, per chi si sente parte dell’universo musicale di Komatsu San, una scena decisamente basata sul web e per il web, non c’è nessuna provocazione. Si raccontano storie con una certa cornice… diciamo estetica. Si sa che nel pop l’estetica è una faccenda seria, che si tratti di Rihanna o del finto casual della rockstar del momento, da Elvis in poi, non c’è nulla di lasciato al caso. A volte, l’estetica è più importante della musica, come leggete qui riguardo ai tormentoni.

E soprattutto, lamentarsi della violenza (rappresentata) nei testi delle sue canzoni sarebbe come lamentarsi delle centinaia di morti ammazzati in un film di Leone o Tarantino.

E cosa c’è, dentro la musica di Komatsu San, al di là del genere che è poi, sotto sotto, semplicemente pop dance contemporanea? Tanta qualità. Tra l’altro l’artista bergamasco suona, arrangia, canta e produce tutto da solo. E i suoi pezzi suonano proprio bene. Ma bene bene. La produzione musicale, per lui, non è un’idea vaga, è una scienza da studiare e mettere in pratica per esprimersi meglio.

“Takeshi Kitano” il tuo ultimo singolo, parte quasi dolcemente, ma poi si scatena ad un ritmo vorticoso… come lo definiresti dal punto vista musicale?
Lo definirei semplicemente stile Komatsu San, la commistione di generi opposti è un po’ il mio marchio di fabbrica ormai.

“Nessuno qui ci salverà” canti nell’inciso, eppure nei due minuti e 6 secondi del pezzo si sente tanta energia, non certo solo disperazione.
Quella parte è cantata da 4sai, e forse l’energia sta proprio nel non farsi salvare, specialmente da Ryu che esce dallo schermo e ci riempie di mazzate!

Raccontaci che differenza c’è tra “Takeshi Kitano” e i tuoi singoli più recenti.
Takeshi Kitano è abbastanza slegata dal resto delle canzoni che ho prodotto nell’ultimo anno. Fa parte di quella corrente di pezzi che ho prodotto molto tempo fa e che mi sono deciso a pubblicare solo ora per diversi motivi, come “Via da qua”.

“Takeshi Kitano” sembra in fondo una canzone d’amore o almeno di una relazione contemporanea oppure non lo è?
È una canzone più basata su delle sensazioni che su un vero e proprio storytelling. Molte relazioni contemporanee sono purtroppo come in “Takeshi Kitano”: si è costantemente alla ricerca di linfa vitale che sembra arrivare solo dall’esterno. Fortunatamente, non è il mio caso comunque…

Sei davvero appassionato dei film di Takeshi Kitano, film e cultura giapponese oppure ti serviva solo per la canzone? 
Non esagero quando dico che Takeshi Kitano è il mio regista preferito. I suoi Sonatine e Kids Return sono sicuramente delle pellicole che mi hanno formato sotto ogni punto di vista, dal linguaggio estetico al senso che si vuole dare alla propria vita. Adoro in generale la cultura giapponese comunque, e mi ritengo molto fortunato ad averla potuta osservare da vicino quando anni fa visitai Tokyo e Osaka. Spero di poterci tornare molto presto.

Pian piano la scena musica si sta risvegliando dopo il Covid-19 oppure è ancora tutto fermo?
La scena musicale post-covid è sicuramente in fermento, sia che si parli di release sia di live. Purtroppo non si può dire lo stesso di club e djset ma sono fiducioso che prima o poi qualcosa si smuoverà.

Grazie a Gay pride e DDL Zan (e non solo) si parla per fortuna con continuità di identità di genere e dintorni. Come vedi la situazione? C’è un lento ma costante miglioramento?
Nessun miglioramento, purtroppo. Il DDL Zan è stato accantonato a tempo indeterminato e il massimo che si può fare ora è continuare a fare quello che si è sempre fatto: combattere con le unghie e con i denti contro ogni forma di discriminazione.

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