In un’epoca storica in cui accanto all’innata conoscenza italica in materia di strategia calcistica fiorisce sui social media una diffusa competenza in campo infettivologico, statistico, di igiene pubblica, economia e politica, vale la pena ricordare gli studi, sempre attuali, di Justin Kruger e David Dunning e le loro osservazioni comunemente note come effetto Dunning-Kruger.

Nel 1999 i due psicologi sociali pubblicano sul Journal of Personality and Social Psychology un lavoro dal titolo Unskilled and unaware of it: How difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessments, che potremmo tradurre come “Incapaci e inconsapevoli: come la difficoltà a riconoscere la propria incompetenza porti a sovrastimare le proprie capacità”. Già il titolo di per sé ci sembra sufficientemente esplicativo e di fatto lo studio rappresenta la validazione scientifica di un fenomeno noto nel buon senso comune, che già Shakespeare aveva abilmente immortalato quattro secoli prima nell’affermazione “Lo sciocco si ritiene saggio, ma il saggio sa di essere uno sciocco” (As you like it, 1600).

In una serie di studi, Kruger e Dunning sottopongono i partecipanti a prove di umorismo, grammatica e logica chiedendo loro di valutare la propria performance. Il risultato che emerge appare nitido: tanto peggiore è la performance quanto più viene sovrastimata. Ad esempio i soggetti con livelli di performance collocati nel 12esimo percentile (ovvero con risultati peggiori dell’88% dei partecipanti) collocano la propria prova al 62esimo percentile, cioè lievemente al di sopra della media, ulteriore conferma dell’effetto sopra la media (better-than-average-effect), ovvero la tendenza a considerare le proprie abilità superiori alla media. Al migliorare della prestazione, migliora anche l’accuratezza nell’autovalutazione fino a un’inversione di tendenza: i partecipanti con i risultati migliori al contrario tendono a sottostimare lievemente la propria performance. Questo aspetto, anche se inizialmente controintuitivo, è in realtà del tutto comprensibile. Quando si approfondisce un tema, lo si guarda da vicino, lo si tocca con mano, le regole generali e le semplificazioni lasciano spazio alle sfumature e alle complessità, ci collochiamo in una prospettiva molto più dettagliata e particolareggiata che più facilmente lascia spazio alle incertezze.

Quel che ne consegue, non senza inquietudine, è un appiattimento delle competenze percepite: pur con livelli diversissimi di competenze reali, soggettivamente ci percepiamo tutti competenti in egual misura o quasi.

Le implicazioni sono effettivamente preoccupanti. La voce dell’esperto diventa flebile e sommessa, segnata dalle incertezze e dai dubbi che la complessità del caso impone, quella dell’incompetente risuona invece fragorosa nelle valli dell’ignoranza, immagine metaforica presa in prestito dalle rappresentazioni grafiche meno scientifiche, ma senza dubbio simpatiche, dell’effetto Dunning-Kruger. In particolare, immaginando di rappresentare su un diagramma cartesiano la relazione tra sicurezza in se stessi e saggezza, intesa come somma di esperienza e conoscenze, l’unione di un alto grado di sicurezza in se stessi con un basso grado di saggezza produce un picco comunemente noto come “Picco del Monte Stupido”.

Tornando al lavoro di Kruger e Dunning, l’effetto descritto somiglia secondo gli stessi autori a un equivalente psicologico di anosoagnosia, un quadro neuropsicologico in cui il paziente con un deficit neurologico non è in grado di riconoscerlo, ma al contrario ritiene che le proprie abilità siano integre attribuendo eventuali fallimenti nelle prove pratiche a condizioni contingenti esterne.

Kruger e Dunning sostengono l’esistenza di una radice comune tanto alla scarsa performance quanto alla capacità di effettuare un’autovalutazione accurata: le scarse capacità metacognitive. In altri termini, tanto le prove di performance quanto l’autovalutazione poggiano sulle stesse abilità, spiegando così la relazione tra i due elementi. La metacognizione, in quest’ambito, può essere definita come la consapevolezza delle proprie conoscenze e l’abilità di comprendere, controllare e gestire i propri processi cognitivi.

Soffermandoci sulle dinamiche intrapsichiche dell’individuo, potremmo immaginare l’effetto Dunning-Kruger come un meccanismo di difesa psichico. Riconoscere i propri limiti, la propria incompetenza, ancor più se evidenti, comporta un processo doloroso e rappresenta chiaramente una potenziale minaccia al nostro assetto psichico. Come gli stessi autori affermano in questo caso: “L’ignoranza è beatitudine” (bliss, curiosamente argomento e titolo del nostro ultimo articolo per Rewriters).

La teoria formulata dai due psicologi però non suona come una condanna, anzi. Nell’ultimo dei quattro studi condotti Kruger e Dunning osservano infatti come il potenziamento delle competenze metacognitive incrementi considerevolmente l’accuratezza nell’autovalutazione, aprendo però di fatto a un paradosso: una volta acquisite le abilità necessarie a riconoscere la propria incompetenza, i partecipanti non sono più effettivamente incompetenti.

Attenzione. Proprio per l’effetto Dunning-Kruger stesso, o perché effettivamente esperti o perché boriosi incompetenti, nessun dei lettori (né tantomeno degli autori) si riconoscerà nella figura bistrattata del nostro caro incompetente. Se però nel vostro mestiere, o ancor peggio, nelle delicate questioni di interesse comune, sentite che, pur senza averne le qualifiche o senza aver approfondito a lungo e con impegno il tema, la vostra opinione sia valida e rispettabile quanto quella di chi a quel tema ha dedicato la vita, ponetevi il dubbio, c’è sempre la possibilità di incrementare le proprie competenze metacognitive.

Insomma, se di fronte a un tema complesso vi sentite sicuri di avere un panorama ampio e nitido, probabilmente in realtà ve lo state godendo dalla vetta del Monte Stupido.

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