“La mia – racconta – è stata una battaglia anche per tante altre donne: credo in coscienza di aver fatto qualcosa di utile per tutte quelle donne nella mia situazione, e per i tanti concepiti in provetta congelati, a cui la legge fino ad oggi non consentiva alternative”. A parlare è la protagonista di una sentenza che fa da apripista a un futuro che spinge sul presente e che già sembra dettare regole destinate a cambiare il corso dell’umanità. Sicuramente, sottolinea la donna, “non è stata una scelta a cuor leggero. Io ho più di 40 anni e per amore del mio ex marito, che aveva problemi di salute, ho deciso con lui di ricorrere alla Pma. Ci sono state delle complicanze e il primo tentativo non è andato bene. Poi lui ha voluto la fine del nostro matrimonio”.

Intanto, però, degli embrioni erano stati crioconservati: “Ci ho pensato tanto, ma quegli embrioni creati in un contesto di amore – afferma – io non me la sono sentita di abbandonarli in una provetta, e ho deciso almeno di provare a metterli al mondo lo stesso, anche come donna single. Mi sono rivolta agli avvocati Baldini e Zema e grazie al loro aiuto anche il giudice ha capito che il mio progetto era serio”. “Il punto – conclude – è che credo non sia giusto venire meno alle proprie responsabilità genitoriali, e per quello che mi riguarda sono contenta che il giudice abbia riconosciuto a me ed a nostro figlio, per ora solo concepito, il diritto almeno di provarci”.

La pronuncia è del Tribunale di S.Maria Capua a Vetere che, per la prima volta in Italia, spiega all’ANSA l’avvocato Gianni Baldini – legale della donna – “decide su questo tema spinoso. Si tratta di una sentenza destinata a far molto discutere perchè riconosce il diritto assoluto della donna di utilizzare gli embrioni creati con il coniuge, e poi congelati, anche alla fine di un amore, dopo la pronuncia della separazione e nonostante la contrarietà dell’ex marito. Il tribunale ha deciso basandosi sull’idea che il consenso dato alla Pma non è revocabile. Secondo la legge 40 sulla Pma, il consenso può essere revocato fino alla fecondazione dell’ovocita: ecco che l’ex marito della signora non ha alcuna possibilità legale di impedire il transfer delle blastocisti crioconservate, ossia di revocare, dicevamo, il consenso. Non solo: questo significa che il signore è anche costretto ad assumere la paternità giuridica, con tutti i relativi obblighi economici e morali, nonostante si tratti di un figlio non più voluto, e che nascerà molti anni dopo lo scioglimento del matrimonio.

In sostanza, da oggi si diventa genitori all’atto della produzione di blastocisti crioconservate in vitro e diventa irrilevante la circostanza che il rapporto familiare e coniugale sia venuto meno. Mi permetto di esprimere un parere come attivista per il riconoscimento della stepchild adoption e l’omogenitorialità in Italia: la seconda sentenza italiana, che conosco molto bene, scritta nel 2014 dalla giudice Melita Cavallo – come anche le altre 5 a sua firma, consentiva l’adozione del genitore sociale (non biologico) del figlio nato in una coppia di persone dello stesso sesso per garantire al bambino la continuità affettiva con entrambe le due figure di riferimento (genitore biologioco e genitore sociale). Non trovate una incongruenza?

In un caso, infatti, conta la salute dell’embrione, ossia si ragiona in termini biologici; nel secondo caso, invece, ci si basa su un ragionamento affettivo, e la biologia passa in secondo piano. Sono due impalcature di ragionamento opposte, eppure entrambe formulate dai nostri tribunali. La materia, mi rendo conto, è complessa, non a caso esiste in Italia un Istituto di Bioetica (la cui fondatrice, Luisella Battaglia, è membro del Comitato Scientifico di reWriters) che si occupa appositamente di questioni come queste: “E’ inevitabile oggi la domanda: il nostro è uno stato che può definirsi liberale o siamo ancora, per quanto riguarda le scelte fondamentali della nostra vita, in una condizione di minorità, sotto l’ombra protettiva di un paternalismo che nega la nostra libertà, una sorta di dispotismo illuminato di tipo nuovo, fondato sul potere della tecnologia? La tutela di una sfera di autonomia personale dalle interferenze del potere politico e religioso era la preoccupazione di Mill ed è, o dovrebbe essere, anche la nostra.” (consiglio di leggere l’intero manifesto).

Le due sentenze che ho messo a confronto danno due risposte opposte: la prima, del Tribunale di S.Maria Capua a Vetere, limita la libertà dell’ex marito e lo costringe ad assumersi responsabilità su una scelta compiuta in circostanze diverse da quelle che si stanno verificando nell’oggi, in nome della biologia, senza tenere conto delle reti affettive (mancanti): che mito dell’origine avrà, quel figlio non voluto? La seconda sentenza, del tribunale dei Minori di Roma, invece, tutela gli affetti di un bambino e di una madre, le argomentazioni dell’amore, indipendentemente dalle ragioni strettamente biologiche e si basa sul riconoscimento e sulla validazione dei legami desiderati da ogni soggetto. Le suddettte interferenze di poteri politici e religiosi sono evidenti nella prima delle due sentenze e non nella seconda, dove invece vige il rispetto delle scelte fondamentali della nostra vita.

La domanda con cui vorrei lasciarvi però riguarda altri ambiti, più inerenti al titolo di questo blog: quando due persone decidono di assumersi l’impegno di scegliere per un terzo, ossia di dare esistenza a chi non l’ha chiesto, è importante che siano consapevoli che la vita, per sua stessa natura, cambia? Che cambiano le circostanze, cambiamo noi stessi, cambia l’altro, cambia la relazione in rapporto al tempo che passa? Che gli eventi possono modificare precedenti intenzioni, aspirazioni, desideri, sogni? Io credo di sì, che sia importante questa consapevolezza. E credo anche che proprio questa consapevolezza possa sviluppare in ognuno che abbia assunto questa scelta – di diventare genitore – le risorse per affrontare tutto con resilienza e adattamento. Perchè non importa quale strade si intraprendano, durante le mefistofeliche sfide della vita, l’importante è mantenere la consapevolezza, che è la risorsa più preziosa per permetterci di sviluppare valore per noi stessi e per gli altri in qualsiasi condizione, anche la più avversa.

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