Pre-messa, prima di pregare, perché ce ne sarà bisogno: Whatsapp e Facebook ora si chiamano Meta. La parola è stata abbastanza sviscerata, forse ha a che fare con il greco, che significa etimologicamente dopo o in mezzo, forse con l’ebraico che significa morte, sicuramente ha varie radici linguistiche. 

Nessuno aveva notato quello che si nascondeva dietro meta, come i cookies che si accettano sempre anche dagli sconosciuti, offerti quando ci si imbatte nei siti web, attirati dai sorrisi delle pubblicità, (come fai a dire di no!), certo, non puoi dire di no perché sennò non puoi entrare nel link.

Allora acconsenti alla promozione o all’informativa privacy che, peraltro, non leggi e che ti pedina ovunque. Non c’è molta scelta, è come se ti rincorressero per offrirti una scatola di cioccolatini e, dopo averla aperta, scopri che sono tutti baci perugina. La vita del web è come una scatola di cioccolatini; non sai mai quello che ti capita, finchè non hai la premura di leggere la marca sulla confezione.

Chi l’ha capito il metaverso?

Ma come è spuntata la parola meta? Realtà sensoriale aumentata o realtà fisica diminuita? Cosa sta succedendo alla nostra realtà virtuale? ci stanno per caso cambiando i connotati social? Questo è quello che abbiamo pensato. Corri a cercare su internet senza correre nel cyber spazio che per ora ha catturato solo parole, ma che a breve imprigionerà anche ologrammi di persone vere.

Ma, anche se ci fanno credere che ce ne possano essere tante sovrapposte, la realtà è una: nessuno ha capito nulla del metaverso, nessuno è in grado di spiegare cosa sia, che significhi ologramma, che sembianze prenderà, cosa togli, cosa metti.

L’unica certezza che tutti siamo in grado di leggere dagli articoli è che Mark ha preso spunto dal libro di fantascienza cyberpunk Snow Crash di Neal Stephenson, un romanzo dalle sfumature giallo-tecno che dopo 30 anni da un genere narrativo anni ’90 di pura fantasia, espressione di una subcultura controcorrente, ora realizza il colossal della nostra vita, il metaverso.

Insomma, i figli di Zukemberg hanno cambiato i connotati per fuggire alla cattiva fama che si stavano facendo per la fame di post d’odio avidi di profitto perché il diritto umano gli è andato di traverso. I facebook papers macchiati di scandali denunciati dall’ingegnera del team Frances Haugen hanno fatto uscire gli scheletri dall’armadio: ragazzine anoressiche che ammirano le food blogger thailandesi che mangiano solo insalata e bevono thè.

Puoi essere ciò che vuoi

Facebook e Whatsapp, i clienti che finanziano la loro prostituzione, sapevano tutto e hanno, così, cambiato cognome, identità e corpo, e dallo scheletro si rifaranno con un fisichetto digitale da paura. Niente più body shaming. Scegli di essere l’avatar che vuoi sul menù, puoi optare per ottimi occhi a mandorla, oppure per un incarnato olivastro da accompagnare alla scarpetta col tacco, per finire sopra una spolverata di lentiggini su capelli fatti alla piastra.

Niente più vergogna, niente più paura del giudizio, siamo tutti uguali, nessuna discriminazione. Sii la versione migliore del tuo software, sii ciò che senti dai nuovi guanti sensoriali, VRfree di Apple (così si chiamano) alla moda e arrivabili a tutti, senza distinzione di classe. 

Meta è inclusione

Meta vuol dire stare in mezzo e dunque debella anche la transfobia, perché meta è pur sempre un termine greco che ha acquisito il valore di trans, un movimento, non lgbtq, però. Ed ecco che trans qui non fa più paura, fa figo, dà l’idea di un bel cambiamento che (tele)trasporta in un nuovo immaginario anche familiare, nel senso che la famiglia te la immagini, non serve più pulire la cucina con lo sgrassatore prima di invitare i parenti al cenone di Natale e per levarti dalla domanda scomoda “dove è il fidanzatino” che non c’è, lo puoi materializzare in un ologramma finto.

Dunque il metaverso può sdoganare la paura del cambiamento, almeno in Italia dove il ddl zan è passato inosservato nonostante tutti i suoi colori accesi. Allora cominciamo a cambiarci i connotati, diventiamo un meme, un avatar, un personaggio cartoonesco, e poi magari riusciremo anche a cambiare quelli che abbiamo dentro le mutande.

Se giochiamo a carte nel metaverso con il nostro amico che oggi si sentiva più Robot rispetto a ieri, quando invece era un pappagallo tropicale, sarà più facile poi imparare a non insultare i gay solo perché si vestono eccentrici. C’è un’evidente opportunità, nel metaverso, di concepire l’importanza e il valore della diversità. 

Certo è pur vero che Ci si becca in giro! è una frase ormai estinta, ora ci si becca le conseguenze!, semmai ci si becca in rete, intrappolati dai pirati del web nel mare magnum di fake news e affogati nel deep web, lì dove non si tocca.

Tutti ci siamo sentiti stretti nelle mura, però tutti, una volta liberi, ci siamo richiusi. Abbiamo pensato “piove, non ha senso andare al cinema, perché bagnarmi se c’è film senza limiti”“non ho la bici e Lucia abita lontana, prendiamoci un caffè nel metaverso”, oppure “ho lezione alle 8 del mattino e ieri ho fatto le 2 di notte a guardare Harry ti presento Sally, seguo su teams, è uguale, aspetta, ma se siamo su teams come mi presento a Harry?”.  

Non mi ricordo più che faccia hanno gli sconosciuti, e quella dei miei amici è un avatar. E’ giusto considerare le potenzialità della tecnologia, ma sta a noi fare del metaverso un tragico sfizio per viziati oppure un’occasione di crescita. Se non stiamo attenti, come una puntata di Black Mirror i volti delle persone che amiamo rischiano di diventare più sfocati in base a quanto il ricordo sia definito, piano piano anche gli altri sensi sbiadiscono; ce lo aveva preannunciato il Covid quando la compagnia si è portata via anche odore e sapore.

Primo tra tutti abbiamo perso l’odore, che si dice sia l’elemento che rimane più impresso del ricordo di una persona, la cosiddetta sindrome della Madelaine di Proust, dolcetti scaduti che ora emanano un fetore di muffa, ma non lo senti. 

Insomma “tanto è uguale, che cambia?” questa frase ha appiattito i nostri spostamenti, la nostra spinta motivazionale e fisica.

Ma adesso qual è il verso del metaverso? È simile ad un nitrito del cavallo o al gracidio della rana che fa saltare da tutte le parti la connessione perché va oltre ogni muro?

Ma verso cosa? Verso ogni cosa che ha il suo verso. Verso: dritto o rovescio che sia, diciamo una realtà double face come quella di facebook, e non è poi un’espressione così felice, neanche lei.

Funziona così; quando ti stanchi dell’una la rigiri e puf, sembra che tu ti sia cambiato l’outfit senza averlo fatto, un po’ come mettere il profumo quando hai la maglietta che puzza, ma non hai voglia di fare la lavatrice, puoi chiamarla magia o furbizia, dipende come la vedi. 

Quindi, ci hanno tolto olfatto, tatto e di conseguenza il corpo con i vestiti. 

Investiamo sui nostri meme che vestiamo di marca, mentre noi siamo in tuta. La differenza sociale è definita dal landscape e dall’arredamento della casa di un videogioco. La trasposizione della cura del virtuale sul reale ha spostato l’importanza del primo piano sul secondo in modo pauroso.

Le coppie lontane potranno fare l’amore a distanza con delle tute sensoriali, senza rinunciare al lavoro per spostarsi a convivere altrove, ma potrebbero anche decidere di lavorare in smartworking, se non hanno paura che salti la relazione.

E intanto le persone senza tetto sono incontenibili nelle strade, le donne in Argentina scendono in piazza a combattere per l’aborto, la gente muore di fame in India dentro case di latta, l’arida terra siriana senza fiori è sfiorata dalle bombe di guerre che noi finanziamo dalle case occidentali cyber spaziose.

Noi non ci dobbiamo alzare neanche per accendere la luce, schiavizziamo Alexa per mettere il timer al forno e stare su instagram in pace anche se dentro c’è la guerra. Abbiamo bisogno di più evasione, noi abbiamo bisogno di evadere dalla nostra realtà piatta come lo sfondo.

Ma la domanda è: come si sana questo oceanico divario? Tra uomini e donne in tute cyberspaziali e altri in tute di militari in guerra? Non è questo l’aspetto degli alieni alienati di oggi? 

Scegli il luogo e ci ficchi dentro chi vuoi, per fare lievitare il mondo come una torta: inviti, chiami qualsiasi persona, un nome che scrolli in rubrica ti sembrerà che sia fisicamente lì con te in una spiaggia caraibica dove i sogni diventano realtà, perché la realtà è sempre più lontana.

C’è chi è seduto, chi vola, chi cammina nei boschi dell’Amazzonia con gli antiscivolo sul parquet, ma senza incontrare gli indigeni. Non serve andare in ufficio o a lavoro se puoi essere di fianco al tuo collega, mentre Mark ti prende per il culo dentro una piattaforma che, se inverti l’ordine delle parole, ha preso una forma piatta perché non lo alzi più.

Zukemberg ci ha investito i miliardi e spero non si facciano male quando ricadranno sulle nostre spalle di avatar, tanto non li sentiremmo. 

Questa realtà, però, che sia piatta o meno, sta ufficialmente prendendo forma, e criticarla non ha senso, piuttosto dobbiamo cavalcarla e guidarla, tenerla sotto controllo. Iniziamo con Seoul: la capitale della Corea del Sud ha deciso di essere la prima a realizzare il metaverso. Uffici pubblici per le faccende burocratiche, mostre, eventi, festività, tutto virtuale. Si potranno visitare siti turistici nella futura città emozionale (forse era ironico il sindaco Oh Se-hoon).

Si festeggerà nel metaverso anche la festa delle Lanterne, il 15 febbraio, la festività che conclude con il botto il Capodanno Cinese. Questa festività prevede che tutta la popolazione scenda in piazza e orni la città di lanterne colorate, tra trampoli e danze di draghi e leoni. Tutto era nato quando un giorno l’imperatore del Cielo, adirato per la morte dell’uccello sacro ucciso per errore da un mortale, decise di incendiare la città, ma la figlia buona e magnanima si inventò un escamotage per evitare questo disastro: far uscire la popolazione con le fiaccole per far credere al Dio del cielo che questa fosse già in preda alle fiamme. 

E ora, se tutti guarderanno le lanterne volanti dal metaverso, in quanti usciranno con i lumini per mandare avanti questa tradizione? Si riuscirà ancora a far cadere il Dio del Cielo nel tranello mitico? Stiamo a vedere…

Condividi: