Nel testo della filosofa e artista Orsola Rignani, seguendo la traccia di pensiero indicata da Michel Serres, viene sondata la possibilità di ripensarsi oltre l’umanismo, attraverso l’umanismo, per riabbracciare la condizione umana.

Il testo della Professoressa Rignani regala molteplici suggestioni pur essendo particolarmente conciso. La prima tra tutte è la struttura dell’opera. Orsola Rignani, infatti, oltre ad essere filosofa è anche – soprattutto (questo mi permetto di scriverlo perché proprio dialogando con lei mi ha svelato questo suo segreto) – un’artista.

Il suo Umani di nuovo. Con il postumanismo e Michel Serres si configura come un alternarsi dialettico e visivo nel quale vengono esposte le sue opere.

Credo che questa operazione, saggiamente scelta dall’autrice, configuri e sia espressione del contenuto e dell’intento filosofico che si celano nell’opera. Come sottolineò Walter Benjamin ne Il dramma barocco tedesco la forma non è solo forma, ma espressione simbolica del messaggio che si cela nell’opera stessa.

A partire dal pensiero di un autore poco conosciuto in Italia, Michel Serres, Orsola Rignani costruisce un impianto filosofico che collega il suo pensiero alle attuali istanze del postumanismo, riuscendo a presentare nuovi ed originali orizzonti di pensiero.

Sulla scia della proposta di Michele Serres, che auspica un radicale abbandono della dicotomia soggetto-oggetto per ricomprendere l’oggetto stesso all’interno di quella agentività da cui viene propriamente escluso, Orsola Rignani riesce a cogliere la profondità del significarsi di questa particolare operazione.

Per Serres l’oggetto è di fatto portatore di relazioni, nel suo darsi, nel suo essere, egli non è innocuo ma, intorno ad esso, si costruiscono delle consapevolezze circa la nostra dimensione individuale e collettiva.

Tuttavia, questa è solo una tappa di passaggio che di fatto la filosofa supera egregiamente per riuscire, a partire da questa considerazione, a riconsiderare il concetto di corpo.

Uno dei temi più battuti, sicuramente nelle ultime teoresi del postumanismo, è la questione della corporeità, del suo ruolo circa la tecnica, del suo essere ponte di relazione nei confronti di ciò che la circonda: essa diviene fondamentale nella riflessione postumanista proprio per il desiderio di rottura della dicotomia che ci viene imposta dalla tradizione che scinde nettamente il pensiero (cogito) dal corpo (materia).

Il postumanismo arriva a formulare un ruolo fondamentale del corpo in vista della definizione della condizione umana, accogliendo l’importanza della fisiologia in tutta quella che è la sfera cognitiva ed emotiva.

Questa consapevolezza è fondamentale, ma, una volta letto il testo di Orsola Rignani, capiremo che essa non è sufficiente: infatti, secondo l’autrice, riposizionare l’uomo nel mondo significa riposizionarlo nel corpo.

Ma cosa significa tutto questo?

La richiesta costante del testo è quella di operare un atto di silenziamento. Ecco che il silenzio si dispiega nel momento in cui la parola non diviene più unica forma di dialogo con il mondo, modalità di conoscenza che si pone come cattura di padronanze, invece che emergenza di differenze.

Il corpo nella sua porosità, nel suo essere ante tutto pelle, può guidare verso una differente forma di relazione con le cose, che non pone un soggetto che conosce un oggetto, ma una struttura che si immerge nelle cose restaurandone la co-appartenenza rispetto al mondo e inaugurando (o forse ritornando a) un rapporto relazionale-generativo, inventivo e federativo.

E questo è possibile riscoprendo la dimensione partecipativa del corpo al mondo:

“Gustare, assaporare, toccare, sentire, visitare il mondo, coniugandosi metaforicamente con esso: il silenzio (della parola) è dunque (ri)emergenza dei sensi nella loro attitudine intenzionale e (ri)emergenza della plasticità metamorfico-coniugativa del corpo (…) e decifrazione partecipativa del mondo nelle sue varietà e agentività, nonché possibile prestito di voce ad esso”.

Uscendo dai sofismi filosofici quello che ci suggerisce l’autrice è di riposizionarci nel corpo per ricominciare a sentire il mondo, ma non percependolo come qualcosa di altro, bensì facendoci penetrare da esso proprio attraverso il corpo.

La pelle come tessuto poroso non più impermeabile ma permeabile, l’olfatto che permette all’universo di entrare in noi, il gusto per assaporare la realtà, il tatto per metamorfizzare il nostro abito esistenziale, l’udito che trasforma materia (il duro) in qualcosa di dolce che apre alle cose integrandole con noi e questo fino alla vista che si trasforma da obbiettivo per possedere le cose a spostarsi per vedere: compiere quel passo indietro affinché il mondo non risplenda, ma risuoni dentro noi, dentro il nostro corpo in forme e dissonanze

La strada del corpo è quella che ci permette di miscelarsi con il mondo, di superare l’orizzonte teoretico per trasformarlo in pratica dell’esistenza verso nuove forme di consapevolezza della realtà e del mondo in una forma di “risoluzione di ogni differenza e specializzazione”.

Questa è la diversità fondamentale tra co-noscere e co-nascere: il mondo non è un oggetto estraneo che l’essere umano deve conoscere, ma luogo di co-nascita nel quale l’umano diviene umano. Come l’autrice sottolinea è possibile essere umani solo in questa dimensione di integrazione costante con ciò che ci circonda sia che si tratti di altri animali che di materia.

Orsola Rignani riesce in questo modo a tenere assieme passato e futuro, ciò che siamo stati e saremo, per questo umani di nuovo perché il tornare ad essere uomini passa attraverso quell’atto di silenziamento del logos (ragione) per abbracciare la comunanza costitutiva della nostra identità per mezzo e grazie ai sensi.

Rubando a Orsola Rignani la sua preziosa riflessione ed estendendola alle mie aree di pensiero, credo che proprio l’altro animale non umano si faccia attraversare dal mondo rimanendo all’interno di esso, affidando ai sensi una dimensione di risoluzione di ogni differenziamento e specializzazione e, proprio nella relazione con l’alterità animale, possiamo noi animali umani (re)imparare a sprofondare nei nostri sensi e quindi a una dimensione di co-nascenza con il mondo che integri e superi quella di co-noscenza.

Perché come ci insegna Rosy Braidotti, appunto citata dalla Rignani, “we-are-(all)-in-this-together-but-we-are-not-one-and-the-same” (R. Braidotti, Posthuman Knowledge).

Possiamo forse adesso capire meglio l’importanza del percorso che l’autrice ci propone attraverso le immagini delle sue opere: non basta che con il logos entriamo nella co-noscenza di questa nuova consapevolezza circa la condizione umana, ma è necessario com-prenderla immergendoci nell’esperienza sensoriale dell’opera d’arte quale luogo in cui è possibile mettere in atto un cambiamento, essa, infatti, come ci insegna Heidegger, superando la dimensione dello strumento può entrare in dialogo con noi (e anche per Heidegger non si tratta di un dialogo fondato sulla veritas quanto sull’aletheia) obbligandoci a modificare la nostra visione di mondo.

L’opera d’arte non dice – anche secondo il filosofo tedesco – ma si pone in costellazione con un segreto in grado di disvelare un senso (per questo aletheia e non veritas).

Ecco che senso e segreto entrano in quella costellazione generativa che sgorga proprio da un atto di silenziamento, dal non potersi dire, dal non potersi definire, giacché nel momento in cui essi venissero pronunciati perderebbero la loro dimensione disvelatrice.

Senso e segreto si possono sentire: essi riscoprono nella lingua non quel luogo di vocalizzazione razionalizzante del mondo, ma luogo di baci, di sapore, di mescolamento e penetrazione.

L’essere un corpo diviene quindi piattaforma esplicativa della postrasominescenza (concetto che viene ben delineato nel testo) intesa come possibilità effettiva di nascita e creazione dell’umano quale elemento non solo aperto al mondo, ma in costante atto di creazione sensoriale con ciò che lo circonda non essendo mai qualcosa di definitivamente altro.

Questo testo della Professoressa Rignani è un fondamentale per provare a ripensare all’umanità non come qualcosa da cui discostarsi bensì come terra di (ri)congiungimento e superamento, come luogo non da pensare ma da sentire. Orsola Rignani assume in pieno quella lezione che il postumanismo prova a dare senza saperla interpretare fino in fondo: rompere ogni dicotomia.

Esso infatti è capace di collocarsi in quel terreno dialogico nel quale ogni pensiero è in grado di compromettersi con l’altro, non creando opposizioni ma luoghi di soglia dove post e trans possono connettersi in un atto generativo che non supera quanto penetra l’umanismo. Ecco che si apre la strada per essere umani di nuovo.

L’autrice presenterà il testo Umani di nuovo. Con il postumanismo e Michel Serres il giorno giovedì 27 aprile alla libreria Libraccio di Firenze alle ore 18.00. Direi che dopo quanto detto è necessario andare a sentire la pelle di Orsola Rignani!

Condividi: