Ecco come le pagine di un libro sanno trasportare nell’universo parallelo di una Los Angeles che non c’è più ma che ancora la puoi respirare, direi sniffare in questo caso. E’ qui, tra la polvere della Sunset Boulevard che stasera tramonta più del solito, con questo libro tra le mani, che Janis Joplin risorge, voce d’oro e cuore tormentato nel romanzo/biografia Il fuoco dentro, scritto dalla fervida penna di Barbara Baraldi.

Una Barbara Baraldi per una volta sottratta alla serialità gotico/thriller/horror, ma proprio per tradizione così perfetta per parlare di storie fatte come questa. Barbara Baraldi mi catapulta in questa memorabile avventura e nella città degli angeli, anche se sono angeli perduti.

Mentre la leggo, alternando passeggiate, mi sento come un’esploratrice in una giungla di emozioni e di musica, vagando tra i vicoli e i locali di una città che ha accolto Janis Joplin nel suo caotico abbraccio, l’ha fatta volare, per poi lasciarla andare giù all’improvviso.

Ali fragili che non sono riuscite a volare quelle Janis Joplin: ali spezzate. Ed ecco che i luoghi di Los Angeles ora mi parlano in modo diverso. Testimoni silenziosi della sua vita, dei suoi amori e delle sue battaglie. Il fuoco dentro non si limita a raccontare la carriera di Janis Joplin, ma fa anche un’analisi del contesto storico e sociale in cui si è sviluppata la sua musica.

Esplora il mondo degli anni ’60, le lotte per i diritti civili, il movimento femminista e la controcultura che hanno fatto da sfondo alla vita di Janis Joplin. Sin dall’infanzia, nel traumatizzante per lei Texas, il talento ribelle della giovane Janis è evidente, una presenza indomita e magnetica che si erge tra le convenzioni della società.

Non poteva che scappare via, mostrando come la sua determinazione nel rompere gli schemi abbia plasmato il suo destino. Sarebbe mai potuta essere una grassa casalinga di Porth Arthur con cinque bambini e un marito redskin? Sarebbe forse campata settant’anni ma cantando solo sotto la doccia o in cucina facendo le frittelle. Che spreco immenso.

Ovvio che non ci poteva stare a quei patti una come lei. Ed ecco che le promesse e le ombre lunghe delle palme di Los Angeles l’hanno avvinghiata. I luoghi che ho ripercorso per ritrovarla, con i suoi ottant’anni che avrebbe adesso, ma fatti a modo suo: la casa di Janis Joplin a Laurel Canyon e il famoso Whisky a Go Go, dove la sua voce ha echeggiato, sono luoghi che ancora brillano perché c’è passata lei.

Ed eccolo lì: l’Highland Gardens Hotel al 7047 di Franklin Avenue, l’albergo dove la nostra indimenticabile Janis Joplin conclude il suo ultimo atto, sembra sussurrarmi le note di una canzone triste e struggente. E’ un luogo che ormai è diventato parte della storia del rock. E c’è una canzone, che ancora, se la città rimanesse zitta per un attimo, potreste sentire tutti: Cry Baby, che Janis Joplin eseguirà durante un concerto memorabile al Hollywood Bowl nel 1969. Eccola, e se chiudo gli occhi la sento ancora riecheggiare, perché una voce così non muore mai. Si perde, come si perdono gli angeli quaggiù, ma non muoiono mai.

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