Diciamolo chiaramente: per chi soffre di disturbi mentali l’estate è la stagione più temuta. Cioè non l’estate in sé con il caldo, il mare, le ferie, le vacanze da scuola e quel momento che segna il passaggio da un anno accademico all’altro che, dopo l’università soprattutto, diventerà il vero momento per i buoni propositi dell’anno successivo.
No, l’estate come siamo ormai abituati (o anche costretti se vogliamo) a viverla.

L’estate e le tante fobie

L’estate della prova costume e degli abitini succinti è un problema per chi soffre di un disturbo alimentare o di dismorfofobia. L’estate delle discoteche è un problema per chi soffre di claustrofobia così come quella dei grandi eventi lo è per chi soffre di agorafobia. Il divertimento a tutti i costi e la compagnia necessaria da ostentare sui social sono un dramma per chi soffre di ansia sociale. L’estate degli sport estremi e delle grandi avventure è decisamente poco affine agli attacchi di panico. Il reggaeton e i balli di gruppo danno l’orticaria ai depressi anche lievi. L’estate in cui non ci si può mai organizzare del tutto perché “siamo in vacanza, cambio di programma, viviamo il momento” manda in tilt gli ossessivo compulsivi.

Ora, il disclaimer di questo blog resta sempre valido: io non sono una psicologa e quello che scrivo non equivale ad una verità scientifica ma ad anni di esperienza mia e di altri, quindi ci sta che un depresso legga questo pezzo e dica “veramente a me Despacito mi mette di buon umore”. Viva Dio, vuol dire che c’è ancora qualcuno che non risponde a logiche troppo stringenti!

Fatta questa dovuta precisazione, torniamo al focus. Prima dell’arrivo del panico in senso patologico io amavo l’estate. Fino ai primi anni del liceo significava stare un mese intero al mare con amici che arrivavano da tutta Italia e che incontravo solo quel mese l’anno, i giochi in piazzetta, le mani aggrinzite dall’acqua, i ghiaccioli sbrodolati addosso, i castelli di sabbia e tutto il corollario dell’estate spensierata dei bambini che intervallava un anno di scuola dall’altro.

Il panico ha cambiato tutto


Allora non lo sapevo, lo so però oggi, con il senno di poi, guardando indietro a delle azioni/reazioni che ho avuto durante le mie estati che hanno assunto un senso solo alla luce di alcuni approfondimenti di tipo psicologico.
La scarsa partecipazione, quella lenta esclusione dalle compagnia, la poca voglia di fare baldoria fino all’alba, la quasi totale mancanza di perdita di controllo durante le feste (io ad esempio non mi sono mai ubriacata) e quella sensazione strisciante ma sempre più pressante di essere fuori posto, di non sentirsi a proprio agio. Anche con le persone con cui magari passavo l’inverno. Perché d’estate si trasformano, non per forza in negativo, semplicemente cambiano. È una bolla spazio temporale in cui tutti sentono la necessità di dover sbattere in faccia agli altri la propria felicità, il proprio divertimento, la propria sregolatezza. Anche quando non sono felici, non si divertono e vorrebbero dormire già alle 21:00.

E allora capita che tu, che se provi a mentire come loro stai male, ma male fisicamente, ti senti sempre meno a tuo agio d’estate e quasi speri che ritorni il coprifuoco così avrai la scusa ufficiale per tornare a casa presto, ammesso che, dopo tanti anni di “no, grazie, non mi va”, ci sia ancora qualcuno che ti chieda di tirare tardi la sera insieme.
L’estate dei tormentoni, dell’allegria forzata, delle grandi imprese, degli amori travolgenti, delle spese folli diventa una condanna e tu non hai gli strumenti per affrontarla, anzi non la vuoi proprio affrontare, perché per te invece, l’estate dovrebbe essere leggerezza del cuore, una danza sulle punte dei tuoi pensieri, un gioco della sedia con i problemi dell’inverno. Dovresti poter ricaricare le batterie, poter scegliere di fare il morto a galla senza per forza dover affittare un pedalò, mollare gli ormeggi e andare a largo, da solo senza una rotta precisa ma con l’occorrente per ogni evenienza.

Soli al sole

E il bello è che lo fai sul serio, o almeno ci provi, ma poi ti guardi intorno, guardi i social, senti qualche amico e ti trovi circondato dall’estate stereotipata della Milano da bere o della Sardegna del Billionaire, anche se si trovano a Punta Prosciutto senza un euro per piangere e allora ti senti sopraffatto. Di nuovo quella sensazione di essere fuori luogo, di non avere scampo, come quando cambi compulsivamente stazione radio in macchina ma non riesci a sfuggire alle note di Malibù.

Allora ci provo io a darcelo, che pure io sto così, un tormentone estivo per questa e per le estati a venire, per provare a liberarci da questo senso di inadeguatezza e tornare a godere della stagione più bella dell’anno. Con il meraviglioso sottofondo musicale di Niccolò Fabi, proviamo a fare quello che ci dice: distendiamo le vene, apriamo piano le mani, cerchiamo di non trattenere più nulla, lasciamo tutto fluire… [finché] l’aria dal naso arriva ai polmoni, le palpitazioni tornano battiti, la testa torna al suo peso normale, la salvezza non si controlla… Vince chi molla!

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